Solitudini e crisi delle relazioni tradizionali: intervista a Michele Dossi

Solitudini e crisi delle relazioni tradizionali: intervista a Michele Dossi

Essere soli e sentirsi soli: un’esperienza di sofferenza, ma anche possibilità di ritrovare se stessi. Su questo tema è da poco uscito il saggio “Solitudini” (ed.Messaggero Padova) a cura di Michele Dossi, per la collana Sofia della Facoltà teologica del Triveneto. Ci sono raccolti undici interventi di altrettanti docenti dell’Istituto superiore di scienze religiose e dell’Istituto teologico di Trento.

“Come per altri volumi pubblicati dall’Istituto di Scienze religiose, il tema è strettamente connesso con i vissuti di questi anni – ci spiega Dossi che all’ISSR Romano Guardini è docente di filosofia contemporanea e metafisica – in particolare si fa riferimento al periodo della pandemia, ma più in generale ad una crisi delle relazioni tradizionali e delle modalità di vicinanza. Con una attenzione particolare alle nuove modalità di comunicazione che non vincono la solitudine, ma in qualche modo la moltiplicano. Fino al diffondersi delle paure legate ai conflitti, alle guerre, alle crisi. Quindi il nostro intento era proprio di trattare temi vicini alle persone”.

Tradizionalmente si pensa alla solitudine come ad una situazione di disagio e sofferenza. Nei vari interventi del saggio emerge però anche un lato positivo, o forse creativo, della solitudine.

“Parlare di solitudine significa spaziare in un ambito molto vasto anche in termini valoriali: da una sofferenza estrema, desolazione, sensazione di abbandono si passa alla solitudine sanante e ricostruttiva dell’umano. In questo senso può essere intesa come capacità di sottrarsi ai ritmi e al dominio dell’esteriorità alla ricerca di una interiorità più autentica e profonda. Abbiamo voluto tenere aperta questa molteplicità di significati, senza dimenticare la sofferenza, come si fa negli interventi di presentazione della solitudine dal punto di vista psicologico”.

Ritrovare se stessi e la propria identità può essere uno degli effetti della solitudine. Ma c’è bisogno anche dell’incontro con l’altro, sia nella direzione degli altri, sia in quella di una apertura al trascendente, all’Altro? Oppure possiamo dire che la trascendenza e Dio non fanno più parte della ricerca?

“Questa è la grande sfida culturale della nostra contemporaneità: c’è una uscita dalla forma di comunitarismo tradizionale. E’ un’illusione pensare di poter tornare indietro, ma dobbiamo constatare d’altra parte il fallimento antropologico dell’individualismo tipico delle nostre società. Dovremmo trovare una nuova combinazione virtuosa, una reciprocità di vita e di scambi che non scada mai nella dispersione della soggettività nel gruppo. Allo stesso tempo le cosiddette identità di gruppo sono da evitare. Occorre invece valorizzare una situazione dialogica tra io e noi”.

Per quanto riguarda l’altro con la “A” maiuscola?

“Il rapporto con il divino è costantemente in equilibrio tra assenza e presenza della divinità, come sostiene uno dei saggi del nostro testo, a matrice biblica. Il rapporto con il divino non si risolve in adeguazione totale della personalità individuale. Questa è la logica dell’amore: avvicinamento e allontanamento, ci si avvicina per riuscire ad essere distanti. Importante riscoprire oggi queste dinamiche come alfabeto del vissuto religioso”.