Solidarietà ed ecumenismo: a colloquio col priore di Taizé

Solidarietà ed ecumenismo: a colloquio col priore di Taizé

Come può essere credibile il cristianesimo se i cristiani restano divisi? Come si fa a predicare un Dio d’amore e unità se si pratica la distanza dal diverso? A questo paradosso cerca di porre rimedio, vivendo concretamente l’incontro tra le differenze e la comunione secondo il Vangelo, la Comunità di Taizé, fondata da Frère Roger durante la seconda guerra mondiale e guidata oggi da Frère Alois. Abbiamo intervistato l’attuale priore di Taizé (al secolo Alois Loeser) in occasione della sua venuta a Trento per i 50 anni del mandato ecumenico alla città del Concilio da parte di Paolo VI.

D. Cosa significa per la vostra comunità ecumenismo? Condurre tutti i cristiani ad unità? Dialogo tra differenze?

R.Per noi l’ecumenismo significa innanzitutto fedeltà al desiderio di Cristo “che siamo una cosa sola affinché il mondo creda” (si veda Giovanni 17,21). Come può la gente credere che il Dio di Gesù Cristo è un Dio d’amore se noi cristiani rimaniamo divisi? Certo unità non significa uniformità, ci sarà sempre nella Chiesa uno spazio per approcci diversi. Gesù ha detto: “Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore” (Giovanni 14,2). Dobbiamo poco a poco rendere visibile questa realtà, molte dimore sotto uno stesso tetto. Ma Gesù ci dice anche che la riconciliazione è una priorità: “Quando tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono” (Matteo 5,23). Va’ prima, dice Gesù, non aspettare. A Taizé, tentiamo di vivere questa riconciliazione giorno dopo giorno.

D.Il Concilio di Trento seguiva alla profonda divisione che si era creata nella Chiesa con Lutero. Paolo VI diede un mandato ecumenico proprio alla città di quel Concilio. Come può la comunità interpretare al meglio questo incarico?

R.Se le nostre comunità, parrocchie e gruppi diventassero luoghi di bontà di cuore e di fiducia, spazi dove ci accogliamo reciprocamente, dove cerchiamo di capire e sostenere gli altri, anche chi è diverso da noi e soprattutto i più bisognosi, saremmo un segno vivo di una Chiesa riconciliata. Cercando di collaborare il più possibile con gli altri che portano il nome di cristiani, nella preghiera, nel servizio dei poveri e forse anche nella pastorale, anticipiamo la primavera della Chiesa”.

D. Siamo a 60 anni dal Concilio che ha segnato un prima e dopo nella storia della Chiesa, senza il quale non si potrebbe parlare di ecumenismo. il Vaticano II: delle idee nate allora cosa dev’essere ancora messo in pratica?

R. Penso che ora papa Francesco stia compiendo gesti importanti in questo senso. Il recente sinodo è stato un esempio particolarmente forte: mettendosi in ascolto gli uni gli altri, guardando con serenità la situazione attuale nel mondo per discernere come portare la Buona Novella di Cristo ai nostri contemporanei. Forse una priorità oggi è approfondire, sia individualmente sia come comunità, un rapporto personale più stretto con Dio. Senza di questo, tutte le riforme istituzionali non daranno il frutto atteso. E per un rapporto personale, una preghiera semplice è essenziale”.

D. In Italia, proprio dopo il sinodo sulla famiglia, si è aperta un’ampia discussione. C’è chi fa appello al concetto di natura per ammettere sono la famiglia feconda, nata dall’unione di un maschio e una femmina, chi vorrebbe rivedere questo modello. Una comunità cristiana come la vostra, fatta di vita comune, di condivisione e amore, non è la dimostrazione che la natura, nel cristianesimo, non è un valore assoluto e che ci sono forme diverse di “stare assieme in nome di Cristo” da quello della famiglia naturale con figli?

R. Non mi sento in grado di rispondere a questa domanda. Ciò che posso dire, è che noi, che viviamo una vita comune nella comunità dei beni e nel celibato a causa di Cristo e del Vangelo, abbiamo un gran bisogno della testimonianza di famiglie cristiane. In questo senso la diversità e la collaborazione è importante.

D. Come interpretate voi di Taizé la generale crisi economica che sta piegando tante persone in Europa e in Italia dove soprattutto i giovani non hanno speranze di lavoro?

R. Ascoltando tanti giovani a Taizé e nelle visite che facciamo nei vari paesi, constatiamo che l’attuale crisi economica sta distruggendo qualcosa nelle nuove generazioni. La fiducia in un futuro migliore, chiamata speranza, è importantissima per tutti, e per i giovani in primo posto. Altrimenti la vita perde il suo senso. Come uscire da questa crisi? Solo mettendoci insieme per trovare soluzioni a tutti i livelli, economico, politico, spirituale. E’ proprio per questo che abbiamo dedicato questi anni a Taizé ad una riflessione sul cammino verso “nuove solidarietà”. E vediamo che tanti giovani sono attenti a questa ricerca. Sono pronti ad andare verso gli altri per cercare vie nuove che permettono di costruire insieme il mondo di domani”.

D. Il mondo sembra vivere ancora l’incubo di uno scontro tra religioni: ISIS e il califfato sono emersi come il nuovo nemico contro cui coalizzare le forze occidentali: il dialogo con le religioni, con l’Islam, anche quello fondamentalista, è possibile a vostro parere e come?

R. “Frère Roger, il nostro fondatore, amava ricordare che in ogni popolo c’è solo una piccola minoranza di persone che vogliono la guerra. La grande maggioranza degli uomini e delle donne, di tutti i popoli, di tutte le religioni, vogliono la pace. I miei fratelli che vivono nel Bangladesh e nel Senegal da tanti anni hanno strettissimi rapporti con tanti musulmani, spesso persone molto semplici, ma che sanno che abbiamo un solo Dio e apprezzano la testimonianza dei fratelli. Dobbiamo uscire dai pregiudizi rispetto alle persone e alle culture che sono diverse da noi, cercando sempre a capire e a farsi capire. È vero, non è sempre facile, ma Cristo non ci propone una vita facile bensì una vita di felicità. E la felicità non consiste forse nel tentativo sempre rinnovato di andare verso gli altri, nonostante gli ostacoli?