La storia di Irena Sendler: “Coltivare la memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza”

La storia di Irena Sendler: “Coltivare la memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza”

«Dobbiamo lottare per ciò che è buono, il buono deve prevalere ed io ci credo. Finché vivrò, finché avrò forza, professerò che la cosa più importante è la bontà»

Irena Sendler nasce a Varsavia nel febbraio del 1910 da una famiglia cattolica polacca di orientamento socialista che la educa alla solidarietà verso gli altri e le trasmette un profondo senso di giustizia sociale. Il padre Stanislaw, medico di campagna, muore di tifo nel febbraio 1917 in seguito all’assistenza prestata a numerosi malati poveri, alcuni dei quali erano ebrei, che i suoi colleghi si rifiutavano di curare. Dopo la sua dipartita la comunità ebraica di Varsavia, in segno di riconoscenza, paga gli studi di Irena la quale, fin dall’adolescenza, vive una profonda vicinanza con il mondo ebreo.

Terminato il suo percorso di formazione, la giovane lavora come assistente sociale nelle città di Otwock e Tarczyn. Irena, agli inizi della Seconda Guerra Mondiale, in qualità di dipendente dei servizi sociali della municipalità di Varsavia, soccorre gli ebrei oggetto di profonde discriminazioni perpetrate dal governo nazista e nel 1940 ottiene un permesso speciale per entrare nel ghetto di Varsavia e condurre un’indagine sulle malattie infettive che si stavano rapidamente diffondendo a causa del sovraffollamento e delle precarie condizioni igieniche.
Nel 1942, con il nome in codice di Jolanda, entra a far parte della Żegota, un movimento clandestino di resistenza polacca, prevalentemente cattolico, che le assegna il compito di salvare i bambini ebrei destinati alla deportazione.

La Sendler organizza una rete di soccorso per favorire la fuga dei piccoli ebrei simulando la loro morte per tifo: i bambini spesso vengono sedati, addormentati, rinchiusi in delle casse o in dei sacchi, trasportati con delle ambulanze fuori dal ghetto, forniti di falsi documenti, raccolti in centri di assistenza e successivamente affidati a famiglie cristiane, orfanatrofi o strutture religiose.
Irena, tuttavia, desidera per i suoi bambini un ricongiungimento con la propria famiglia di origine, pertanto crea un archivio nel quale registra i veri nomi dei piccoli ebrei e l’identità delle famiglie ospitanti, per maggiore sicurezza nasconde i dati in dei barattoli che seppellisce nel giardino della sua amica di fiducia, Jadwiga Piotrowska.

La rivolta del ghetto nel 1943 e la sua totale liquidazione da parte del regime nazista, determina la nomina della Sendler a direttrice del dipartimento di Żegota per seguire il destino dei piccoli evacuati; ma nell’ottobre dello stesso anno Irena viene arrestata dalla Gestapo e sottoposta a crudeli torture che le procurano un’invalidità permanente alle gambe; nonostante le violenze subite la donna non rivela i nominativi dei bambini né dei suoi collaboratori e viene condannata a morte.

Reclusa nel carcere di Pawiak, riesce ad evadere con la complicità di un ufficiale nazista corrotto con un importante somma di denaro dalla Żegota e continua in clandestinità, con il nome di Klara Dabrowska, la sua collaborazione con la resistenza polacca. Terminata la guerra e l’occupazione nazista, la Sendler consegna ad Adolf Berman, tesoriere della Żegota e presidente del comitato ebraico di aiuto sociale, la lista con i reali nominativi dei piccoli ebrei dati in affidamento: vengono rintracciati circa duemila fanciulli le cui famiglie, tuttavia sono state prevalentemente sterminate nei campi di concentramento, e per loro, si prosegue con il trasferimento in Palestina e la ricerca di famiglie adottive.

La fine della guerra, per Irena, non comporta il ritorno alla normalità, reintegrata nelle sue mansioni presso i servizi sociali, è considerata una sovversiva dagli organismi di sicurezza comunisti che la sottopongono a rigidi controlli accusandola di favorire la clandestinità dei membri dell’Esercito Partigiano. Nel 1965 viene riconosciuta “Giusta tra le Nazioni” dallo Yad Vashem di Gerusalemme e solo in quell’occasione ottiene dal governo comunista il permesso di uscire dal Paese per ricevere il riconoscimento in Israele.

La storia di Irena Sendler è stata resa nota nel 1999 quando degli studenti di una scuola del Kansas promossero a livello internazionale la diffusione della vita e dell’operato della donna polacca che nel 2003 riceve una lettera personale dal Papa  Giovanni Paolo II il quale la elogia per i suoi sforzi nella resistenza e il 10 ottobre dello stesso anno il Centro Americano di Cultura Polacca a Washington le conferisce il Premio Jan Karski “Per il Coraggio e il Cuore”.

Nell’anno 2007, su proposta del Presidente della Repubblica Polacca, il Senato all’unanimità proclama “eroe nazionale” Irena Sendler che muore il 12 maggio 2008 all’età di 98 anni ripetendo, fino all’ultimo respiro, «ogni bambino salvato con il mio aiuto è la giustificazione della mia esistenza su questa terra, e non un titolo di gloria».

Sull’esempio di Irena Sendler e facendo tesoro del monito della senatrice Liliana Segre secondo la quale «coltivare la memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza e ci aiuta in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenza a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza e la può usare», sia il giorno della memoria, per l’uomo di ogni tempo ed in particolar modo per le nuove generazioni che in seno alla scuola si formano, un momento prezioso di consapevolezza affinché il ricordo di ciò che è stato debelli ogni forma di odio, sopraffazione, violenza e discriminazione e promuova la costruzione di una società fondata sui valori della libertà, del dialogo e della tolleranza.