Nell’incontro con l’alterità, la costruzione del bene comune

Nell’incontro con l’alterità, la costruzione del bene comune

Se esistere vuol dire morire, l’etica non può essere universale e immutabile ma particolare e mutabile. Mutano le persone, le loro opinioni, idee, culture e identità. È nel dialogo tra gli uomini e le loro opinioni, che si supera l’individualismo.

Secondo il filosofo Martin Heidegger, “l’essere-per-la morte” è la dimensione costitutiva dell’uomo; motivo per cui questa non è la fine ma il fine dell’esistenza e, in quanto pone fine a tutto ciò che siamo come progettualità, ci fa considerare l’esistenza come “vita già piena”. Questo essere-per-la morte, che è l’uomo, è ‘situato’, in quanto dal punto di vista antropologico, non esiste l’io, il soggetto, l’individuo-in-sé, trascendentale e metafisico; non esiste un soggetto naturale ma un soggetto come prodotto relazionale e culturale. La condizione storica dell’uomo, comporta un costante superamento di tutto ciò che gli esseri umani sono adesso. Lo status quo umano, non è mai definito e c’è sempre spazio per il cambiamento.
L’uomo è un essere aperto: noi ek-sistiamo, espandendo il nostro essere nel tempo e nello spazio. È nel dialogo-relazione tra gli uomini e le loro opinioni, che si trova il bene in sé e si supera l’individualismo e la legge del più forte per un nuovo umanesimo etico. Secondo la filosofia della storia hegeliana, lo spirito in sé-esce fuori da sé-ritorna a sé. Se il bene/identità in sé non esce fuori da sé, rimarrà sempre e solo una tesi con pretesa ossessiva di assolutizzarsi; se poi non ritorna in sé, cadrà in una dissoluzione/liquefazione relativizzandosi: dalla relazione/dialogo tra le identità in sé, che uscite fuori da sé si incontrano, si ha la sintesi come bene in sé che non è né la tesi né l’antitesi ma frutto del dialogo tra tesi e antitesi.
Cosa importante è il fatto che tesi e antitesi nel dialogo-relazione, non solo producono la sintesi senza ridursi a sintesi stessa, ma ritornati in sé saranno identità rinnovate, aggiornate per nuove estasi, “uscite di sé”. L’esistenza estatica, l’incontro con l’alterità e la diversità, non deve farci paura perché non porta allo smarrimento identitario ma al rinnovamento dinamico e alla crescita di ciò che siamo oltre ogni forma di identitarismo uniformante ed alienante. Se esistere vuol dire morire e noi infatti siamo-per-la morte perché nasciamo, moriamo e non permaniamo, l’etica non può essere universale e immutabile ma particolare e mutabile perché mutano le persone e le loro opinioni, idee, culture e identità, rendendo la relazione – e sul piano politico la democrazia – il fondamento metafisico dell’etica.

Tesi e antitesi nel dialogo-relazione, non solo producono la sintesi senza ridursi a sintesi stessa ma ritornati in sé, saranno identità rinnovate, aggiornate per nuove estasi”