La speranza come nuovo fondamento della politica

La speranza come nuovo fondamento della politica

Politicamente la contemporaneità è segnata dalla “Realpolitik” che consiste in quella “prassi politica che considera il mantenimento e l’allargamento del potere come fini a sé stessi giustificando anche l’uso della forza militare e della coercizione economica per conseguirli”. La Realpolitik è quella “politica del mantenimento” della realtà sociale così com’è. La Realpolitik è la traduzione sul piano politico del filosofico “sì alla vita” come accettazione della stessa così com’è: nulla può cambiare mai strutturalmente e se qualcosa cambia nel corso della storia “tutto ritorna eternamente” per cui non ci resta che “trasformarci” in esseri non desideranti un mondo migliore ma capaci di abbandonarci e vivere l’eterno-presente..
A queste filosofie nichiliste e conservatrici si contrappongono le filosofie progressiste ed escatologiche del tempo lineare, di matrice marxista ed ebraico-cristiana, fondate sul “principio speranza”: la speranza a differenza del nichilismo, «può suscitare…protesta e resistenza contro le condizioni di ingiustizia vigenti. (La speranza) è espressione di un inestinguibile anelito a un mondo migliore, anzi a qualcosa di “totalmente altro”» (H. Kung). La speranza è anelito che spinge all’impegno per un domani migliore.
Ma cosa importa ad un bambino africano che muore di fame oggi, che il domani sarà migliore? Che fra cento anni le strutture sociali del pianeta cambieranno e non si soffrirà più? Non costituisce, ciò, l’altra faccia della medaglia del nichilismo che invita lo stesso bambino non a sperare in un futuro migliore ma a farsi forte, diventare un “super uomo” e vivere l’Africa e ogni Africa così com’è? Sta qui l’errore di fondo nell’intendere le filosofie progressiste: il domani escatologico del tempo lineare, il domani migliore in cui sperare e per cui lottare non è un tempo ed un domani “quantitativo” ma “qualitativo” e “simbolico”: il simbolo è tale perché realizza ciò che significa, ciò che si spera, per cui il domani migliore è la realizzazione oggi del contenuto sperato.
Il domani sperato è un ideale di mondo migliore da realizzare oggi, non è rinvio ad un domani cronologico migliore rispetto al soffrire dell’oggi: il domani sperato è il cambiamento dell’oggi in quanto il tempo è Kairos (tempo opportuno) e dunque il tempo presente è già costitutivamente opportunità da cogliere e realizzare, rendendo il mondo di oggi migliore. Solo chi spera e desidera un mondo migliore rispetto al presente si impegna a realizzarlo, non aspetta la fine ma l’attesa è già “adventum simbolico del domani”. La speranza in un domani migliore è l’idea utopistica di un oggi diverso. Il presente è l’unica certezza che abbiamo, ma chi spera in un domani migliore, cambia il presente, senza speranza invece si conserva, si difende l’immutabilità del presente. Però, come sottolinea Raimon Panikkar, «la realtà non è data una volta per tutte, ma è reale proprio perché si autocrea continuamente.[…] La realtà si trova in una condizione di flusso costante…e tra le caratteristiche del reale non c’è l’immutabilità. Lo status quo umano non è mai definitivo. C’è sempre spazio per il cambiamento, il pentimento, la speranza. […] L’uomo è un essere aperto: noi “ek-sistiamo” espandendo il nostro essere, almeno nel tempo e nello spazio». Sul piano antropologico ciò significa accettare la condizione viator dell’uomo ovvero riconoscere che la condizione storica dell’uomo comporta, come sottolinea ancora Panikkar, «un costante superamento di tutto ciò che gli esseri umani sono adesso».
Sul versante politico, in un epoca in cui sono ormai crollate i fondamenti e le ideologie, credo che la speranza possa e debba costituire il nuovo fondamento della politica stessa. Una politica fondata sul “principio speranza” va oltre il mantenimento della realtà presente, risponde alle esigenze odierne del bene comune, si impegna per il miglioramento dell’attuale situazione sociale senza ricadere nel mito della realizzazione di una società perfetta di illuministica memoria o di devianza marxista. L’oggi, infatti, lo si può e lo si deve migliorare ma il domani è sempre da venire per cui bisogna imparare a vivere la non perfezione della società e ad accettarla recuperando in ciò le istanze dell’esistenzialismo nichilista senza mai dimenticare però le istanze delle filosofie progressiste che spingono alla realizzazione di un mondo non perfetto ma migliore per tutti e per ciascuno.
Solo una politica fondata sulla speranza può portare allo “sfrangiamento” del tempo presente: occorre dunque una filosofia e una teologia della speranza che, andando oltre la ricerca della pace interiore, oltre l’ascesi ed oltre il sì alla vita come volontà e accettazione della stessa così com’è, assumano la dimensione politica dello “sfrangiamento” come posizionamento critico di fronte a “questa società” perché “un’altra-sperata” è un dovere etico. Senza “la pace interiore” borghese-individualista e la “rassegnazione” proletario-collettivista non ci sarebbero state le “dittature eterizzanti” e il mondo sarebbe già migliore, invece lo si deve costruire e solo una politica fondata sulla speranza può contribuire a realizzarlo in itinere e nella interculturalità tra tutti i popoli.