LA LAICITÀ DELLO STATO TRA IRC ED EDUCAZIONE CIVICA

LA LAICITÀ DELLO STATO TRA IRC ED EDUCAZIONE CIVICA

Il senso ed il valore dell’IRC, oltre che nel suo statuto epistemologico, che connota il carattere della disciplina, e negli accordi pattizi tra Stato e Chiesa, che dopo il 1929 sono stati rivisti ed aggiornati, alla luce delle nuove condizioni della scuola italiana (nel 1984 e nel 2012), sono da individuare in un concetto importante, utilizzabile anche come argomento della nuova Educazione civica, che è quello di Laicità dello Stato.

In tal senso, la Costituzione italiana, negli art. 7 ed 8, ribadisce tale principio, quando sottolinea che “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.” (art. 7), e che “tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. … I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze” (art. 8). Questo dato costituzionalmente fondato, denota il carattere democratico della nostra Repubblica, nel senso che ognuno può aderire a qualunque confessione, regolata per legge, ed è libero di professarla.

Leggere questi due articoli, nella nostra epoca, può sembrare assodato, ma la loro portata di novità può essere compresa, in quello specifico contesto storico, se li si accosta al precedente Statuto Albertino del 1848, che la nuova Costituzione, cento anni più tardi, rimpiazzò definitivamente. All’articolo uno, così l’antico Ordinamento recitava, “la religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione di Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati“. Pertanto, la nostra Costituzione ribaltò la logica di uno Stato confessionale ed introdusse il concetto di laicità, nell’accezione propria di rispetto e considerazione (non più tolleranza) di tutte le religioni e, per certi versi, offrì maggiore dignità e libertà alla religione cattolica, in quanto questa non venne più adottata ed asservita dallo Stato come religione ufficiale (statalizzazione della religione), ma ne sancì la propria autonomia. Laicità quindi non intesa come indifferenza nei confronti della religione, da parte dello Stato, ma come attenzione e considerazione nei confronti della sua essenza e rispetto di chi vi aderisce. In tal senso, la laicità non deve essere considerata come un diritto dei cittadini, che ne vengono coinvolti solo sul piano individuale, per cui la religione viene emarginata e contenuta esclusivamente nell’ambito della vita privata, ma come diritto di esercizio pubblico, attraverso la celebrazione di riti, feste ed altre manifestazioni, che coinvolgano, in dimensione collettiva, quanti in piena libertà vuole prenderne parte.

Rileggendo con maggiore attenzione l’art. 7 della Costituzione, la laicità dello Stato deve essere, allora, intesa non come separazione e netta divisione (contrapposizione) tra Chiesa e Stato, tanto da ignorarsi reciprocamente, ma come realtà distinte, in senso mariteniano (J. Maritain) del termine, cioè “distinte per essere unite”, inquanto nelle loro diverse e caratteristiche nature si determina la dialettica della reciprocità e della loro collaborazione ed interscambio, senza interferenze.

Bisogna considerare, del resto, che l’origine del concetto di Laicità, in senso moderno, va a contrapporsi a quella modalità di relazione, tipica della fine del XVI secolo, epoca in cui si ebbe la Riforma Luterana, in cui vigeva,  in riferimento al rapporto tra Stato e Chiesa, il principio del, “cuius regio, eius et religio” (“Di chi [è] il regno, di lui [sia] la religione”). Questa espressione connotava la dottrina del giurisdizionalismo, per cui soltanto la religione del proprio governante doveva essere seguita dai sudditi, conseguentemente, con l’imposizione di una sola religione, le altre venivano bandite ed escluse, anche con la repressione.

La Costituzione italiana, del 1948, in tal senso, in considerazione anche dello sterminio del popolo ebraico (shoah), che tra il 1938 e il 1945 annientò più di sei milioni di ebrei, recuperò il principio della libertà religiosa e l’inserì tra i suoi Principi fondamentali, per la vita democratica della nascente Repubblica.

C’è da evidenziare, comunque, che nella Costituzione italiana, non viene mai usata esplicitamente la parola laicità, ma la giurisprudenza costituzionale, a partire dalla seconda metà degli anni ottanta del Novecento, rileggendo in senso ermeneutico gli artt. 2,3,7,8,19,20, non ha avuto dubbi nell’affermare l’esistenza di tale principio, ricomprendendolo peraltro tra i principi supremi dell’ordinamento costituzionale. Pertanto essere laici deve essere inteso come persone libere e rispettose della Fede altrui, consapevoli che ogni religione porta in sé un germe di verità e di vita. Il resto è fondamentalismo.