La giustizia nel nostro tempo: a colloquio con l’ex presidente della Camera dei Deputati Luciano Violante

La giustizia nel nostro tempo: a colloquio con l’ex presidente della Camera dei Deputati Luciano Violante

La giustizia non può fare a meno del rispetto dell’altro in quanto persona, oltre qualsiasi giudizio sul suo operato. Per Luciano Violante già professore di Diritto e procedura penale, magistrato e parlamentare, presidente della Commissione antimafia (1992-1994) e presidente della Camera dei deputati (1996-2001), solo nel rispetto dell’altro possiamo dirci “nel giusto”. In questo senso anche una tassa sui grandi patrimoni, per trovare risorse a favore di chi è stato colpito dalla crisi economica derivante dalla pandemia, significa mettere in pratica la giustizia e rispettare gli altri

A Violante abbiamo chiesto di fornirci una definizione di giustizia.
Mi permetto di iniziare con una citazione classica. Nella mitologia greca Dike, la giustizia era ai piedi di Zeus, alla sua destra, e dall’altra parte c’era Aidos, figura che rappresenta il rispetto e il perdono. L’idea di fondo è che la giustizia non va considerata da sola: per essere tale non va mai disgiunta dal rispetto della vita dell’altro. Essa è misura dei comportamenti e delle relazioni tra le persone. Ma la giustizia da sola non risana, semmai risarcisce o tenta di risarcire. Ciò che risana è la considerazione del valore dell’altro, al di là delle sue azioni. L’altro è sempre persona e come tale va considerato al di sopra di qualsiasi giudizio sul suo operato.

Nel Vangelo di Matteo si legge: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia…” a suo avviso dunque significa: rispettate gli altri prima di tutto in quanto persone?
Vorrei precisare che non sono cattolico, sono credente, ma non ho una specifica religione. Se guardiamo però all’Antico Testamento, troviamo il rito del “rib” (lite in ebraico ndr). A seguito di una offesa le parti non si aggredivano: cercavano una composizione. Pertanto quella giustizia a cui si riferisce il Vangelo credo possa alludere alla ricomposizione del rapporto con l’altro. Sempre nella lingua ebraica troviamo la parola “Tzedakah”, riconciliazione, che rimanda all’endiadi giustizia-misericordia, pur non essendo questa la traduzione più giusta. Anche in questo caso si fa appello al rapporto con l’altro e alla ricomposizione dei conflitti. Nella tradizione biblica e poi evangelica c’è sempre il bisogno di collegare l’idea di giustizia con quella della relazione con l’altro in quanto persona. Credo questo sia il tema che deve impegnarci.

Tutto ciò richiama l’idea del peccato originale, sempre in ambito giudaico cristiano, come originaria rottura di una relazione?
D’altra parte quando Nostro Signore ha inviato Cristo, Gesù di Nazareth, non lo ha mandato per la ricomposizione di un rapporto? La Nuova alleanza è proprio il tentativo di rimettere in sesto la relazione tra uomo e Dio.

Nel suo ultimo saggio, “Insegna Creonte”, scrive: “è accaduto a molti uomini politici di perseguire un obiettivo giusto in modo sbagliato”. I criteri di scelta dunque dipendono anche dalle modalità in cui si intende condurre una azione in vista di un obiettivo giusto?
Il giudizio sulle modalità è scisso da quello sull’obiettivo, ma resta necessario: il fine non giustifica i mezzi. Se si persegue una finalità giusta in modo sbagliato non c’è comunque giustizia.

Riprendendo la sua definizione di giustizia per la politica: posso avere anche l’obiettivo di ricomporre una situazione, risolvere dei conflitti, ma posso farlo nella maniera sbagliata?
Non bisogna aprire un conflitto che non si è in grado di chiudere con reciproca soddisfazione. La giustizia in politica non può prescindere da questa istanza di rispetto della posizione dell’altro. Non si può in altri termini aprire una contesa senza avere poi la possibilità di chiuderla positivamente.

Nel suo saggio cita Ugo Spagnoli riguardo alle tre regole fondamentali della politica: rispettare gli altri, non arrecare danni evitabili e non presumere di essere dalla parte del giusto. Che vuol dire più precisamente presumere di essere nel giusto?
Essere presuntuosi; non considerare il valore dell’altro. Ai miei allievi dico spesso: è impossibile che noi abbiamo sempre ragione e gli altri sempre torto. Cercate di capire dove sta il punto di vicinanza o minor lontananza con l’altro e tentate una possibile alleanza e riconciliazione.

Lei si sente libero nel fare le sue scelte o c’è una sorta di imperativo categorico che s’impone?
Ho imparato dall’esperienza, dalla vita. Non sono nato con il rispetto dell’altro come criterio di giustizia: l’ho capito facendo il magistrato, il politico, il docente: vivendo. Interrogando un terrorista, da magistrato, questi mi disse: “Lei sa che se io riesco ad uscire la ucciderò, quindi lei sa che per evitare di essere ucciso deve fare in modo di darmi l’ergastolo: a questo punto non serve stare qui a parlare”. Invece la discussione andò avanti quasi tutta la notte e alla fine dimostrammo che anche tra noi era possibile la comunicazione.

Tornando al tema delle scelte giuste, in una situazione come quella dell’attuale pandemia che fa emergere profonde ingiustizie, con migliaia di persone che hanno perso il lavoro o che non possono lavorare, non sarebbe giusto togliere qualcosa a chi ha tanto per darlo a chi non ha più niente? Una patrimoniale come la vedrebbe?
Personalmente ho avuto molto dalla vita e dalla politica, di materiale e di spirituale, e credo che nella vita che mi resta da vivere abbia un dovere di restituzione di ciò che ho avuto e di ciò che ho imparato. Fermo questo, a me pare sia equo proporre una tassazione sui grandi patrimoni. Ci sono grandi ricchezze accumulate anche grazie al nostro sistema Paese, alle sue risorse. Se in un periodo di grande difficoltà viene restituito parte di quel che è stato acquisito ciò non crea danni sostanziali a chi ha grandi patrimoni. Dall’altra parte si contribuisce al benessere degli altri in difficoltà. Per avere consenso però ci deve essere la sicurezza dell’impiego delle risorse prelevate a vantaggio dei più deboli. Credo dunque che una tassazione del genere sarebbe equa.

Qual è a suo avviso il maggior pregio e il più grande difetto del governo Draghi?
Il pregio è aver superato la barriera giuridica. Il giuridico è “il regno della procedura”. L’economico è il “regno del risultato”. Noi viviamo in un eccesso di cultura giuridica. Il giurista è attento alla correttezza della procedura. L’economista è attento al conseguimento del risultato. Il governo Draghi ha inserito l’attenzione al risultato che ho l’impressione sia mancata ai governi precedenti. Per intenderci: sembrava più importante fare una legge anche senza sapere se era poi applicabile e poteva dare dei risultati. Per i lati negativi: è troppo presto per giudicare questo governo, certamente ce ne saranno perché nessun governo è perfetto. Ma forse potrebbero emergere anche dei pregi più significativi di quelli che ho citato.