La gestione della relazione educativa nella prassi didattica: peculiarità, competenze e metodologia

La gestione della relazione educativa nella prassi didattica: peculiarità, competenze e metodologia

In un contesto in cui la didattica, per motivi d’emergenza e di forza maggiore al tempo di covid 19, vede trasformarsi in nuove forme di azioni e di relazioni educative (DAD e DII), è bene cercare di comprendere cosa sia e come si realizza, nel contesto educativo dell’istruzione/apprendimento, la relazione tra il docente e l’alunno nel contesto classe, soprattutto in un momento in cui il rientro a scuola in presenza si sta concretizzando. Ne parliamo con la d.ssa Rossana Carmagnani, docente, psicologa e psicopedagogista, specialista in formazione permanente in ambito didattico ed educativo.

D. Nella prassi didattica, in cui si svolge l’azione di insegnamento/apprendimento, cosa dobbiamo intendere per “relazione educativa” e quali sono le sue peculiarità?
R. La buona prassi didattica è sempre relazione educativa per due buone ragioni. La prima è il suo passare in modo sano e spontaneo attraverso un dialogo che favorisce la conoscenza dell’alunno, la promozione delle sue attitudini e il consolidamento della sua autostima. La seconda è data dal contenuto valoriale delle discipline, non ridotte a mero materiale di conoscenza, ma trasmesse entro un orizzonte di senso fondato sul valore della persona e il suo cammino di umanizzazione attraverso le forme del sapere e dei processi culturali.

D. In che modo e quanto “Insegnamento e Apprendimento” interagiscono nella relazione educativa?
R. Nella didattica avanzata il processo di apprendimento avviene attraverso tre sequenza: quella propedeutica dell’apprendimento significativo, che consente all’alunno di attivare la motivazione percependo i suoi vissuti generati dalle sue esperienze, dalle conoscenze pregresse, dalle competenze già acquisite, dalle aspettative in rapporto al nuovo; quella dell’apprendimento organizzato dove interviene la rielaborazione da parte del docente di quanto gli alunni hanno messo in comune, la correzione di eventuali errori, ma soprattutto la trasmissione dei nuovi contenuti che estendono la conoscenza e il campo valoriale; infine l’apprendimento interiorizzato in virtù del quale l’alunno si domanda che cosa ha compreso delle nuove conoscenze e quali consapevolezze ha maturato. È uno snodo attraverso tre autointerrogazioni: che cosa provo, che cosa desidero, che cosa so già (?); che cosa mi sta dicendo il mio docente che mi porta verso spazi più ampi(?); che cosa ho capito di ciò che il mio docente mi ha trasmesso e che cosa ora sono capace? Apprendimento e insegnamento, quindi, sono strettamente legati, il secondo è funzionale al primo, non è esercizio di potere ma “potere di servizio”.

D. Quali sono le competenze che l’insegnante deve avere per espletare al meglio la sua relazione educativa con la classe?
R. Le competenze del docente (saper essere e saper fare) sono chiare e inequivocabili: profonda padronanza disciplinare (il sapere solido rende l’insegnamento chiaro e accessibile); consapevolezza della propria vocazione alla missione educativa attraverso la didattica; creatività nella scelta delle strategie di didattica attiva funzionali alla motivazione; capacità di suscitare l’ascolto interessato e la concentrazione; capacità di favorire la consapevolezza del cammino compiuto; capacità di relazione empatica, ovvero di entrare nel contesto personale dell’alunno per offrirgli le opportune condizioni di crescita intellettuale e morale; apertura al cambiamento; capacità di collaborare con colleghi e genitori; disposizione costante all’aggiornamento e alla formazione permanente; apertura all’internazionalità europea e mondiale; capacità di esercitare il senso critico e di trasmetterlo. Ma la creatività del docente è sempre la carta vincente, infatti deve essere in grado di saper reperire nell’ampio bagaglio delle strategie didattiche, che hanno sempre una valenza educativa, le più idonee al percorso da compiere, senza dimenticare mai che cercare e trovare con i propri alunni modi e mezzi è sempre una partita vincente, oltre alla conoscenza del contesto personale e socioculturale dell’alunno, infatti “affinché Pierino apprenda la matematica, occorre che il suo docente conosca la matematica e conosca Pierino!”

D. Può fare un breve accenno agli stili cognitivi, come strumenti ed azioni nella prassi educativa?
R. Sono universalmente riconosciuti tra stili di apprendimento: uditivo (ascoltare), visivo (prendere appunti, disegnare, schematizzare, mappare, in genere visualizzare), cinetico (muoversi per andare a cercare, raccogliere, viaggiare in internet, lavorare insieme, dialogare camminando. Socrate è il paradigma). Ogni persona ne privilegia uno, pertanto il docente competente deve avere consapevolezza del proprio per non proiettarlo sulla classe e non favorire coloro che gli sono affini. Inoltre deve saper scegliere le strategie idonee ad attivarli tutti e tra, affinché i suoi alunni apprendano al meglio in tutte le circostanze e con tutti gli interlocutori: dalla lezione frontale, alla video proiezione, al workshop, dalla scuola dell’infanzia alla formazione universitaria.

D. In che modo intervenire in una relazione educativa problematica?
R. Sono universalmente riconosciuti tra stili di apprendimento: uditivo (ascoltare), visivo (prendere appunti, disegnare, schematizzare, mappare, in genere visualizzare), cinetico (muoversi per andare a cercare, raccogliere, viaggiare in internet, lavorare insieme, dialogare camminando. Socrate è il paradigma). Ogni persona ne privilegia uno, pertanto il docente competente deve avere consapevolezza del proprio per non proiettarlo sulla classe e non favorire coloro che gli sono affini. Inoltre deve saper scegliere le strategie idonee ad attivarli tutti e tra, affinché i suoi alunni apprendano al meglio in tutte le circostanze e con tutti gli interlocutori: dalla lezione frontale, alla video proiezione, al workshop, dalla scuola dell’infanzia alla formazione universitaria.

D. Un accenno allo stress dell’insegnante e al Burnout?
R. Non esiste una situazione problematica, esiste una persona che manifesta uno stato di difficoltà. La prima modalità di approccio è fermarsi e interrogarsi: la difficoltà è relazionale o di apprendimento, la difficoltà è in me o nel mio alunno, ho la competenza per dare una soluzione o mi devo rivolgere a competenze specifiche, ho ascoltato i genitori, mi sono confrontato con loro e con i colleghi, o creato alleanza e sostegno intorno a lui da parte dei compagni? Occorre dialogare, confrontarsi, discernere e collaborare con tutte le risorse umane a disposizione. “A male oscuro, oscuro rimedio”: occorre dare alla difficoltà un nome preciso pertanto non pretendere di sapere tutto, non pretendere di risolvere tutto e subito, cercare insieme con pazienza storica, gratuità e dedizione nei confronti di una vita umana che chiede di essere accolta, capita e accompagnata. Forse la più preziosa e nascosta competenza del docente educatore è l’umiltà intellettuale.
Occorre prestare attenzione al Burnout, anche perché da disagio psicologico può tradursi in patologie organiche (gastrite, coliti, cardiopatie, disordine alimentare). In genere, si manifesta come una sindrome ansioso depressiva: caduta della motivazione e del tono dell’umore, stanchezza eccessiva, repulsione per gli impegni lavorativi, irritabilità, insofferenza, intemperanze comportamentali nel campo professionale. Colpisce in genere persone impegnate in professioni con un alto livello di relazionalità. Occorre richiedere una diagnosi precisa e un tempo si riposo. Attualmente mi preoccupano due realtà: la prima è il sovraccarico di lavoro burocratico al quale sono sottoposti i docenti e l’investimento di energie mentali e fisiche che spendono a riguardo; la seconda sono le conseguenze sulla scuola di due anni scolastici nel tempo della pandemia. In relazione al primo punto, mi domando se è una condizione necessaria.