La dimensione politica della fede cristiana per la costruzione di un nuovo umanesimo

La dimensione politica della fede cristiana per la costruzione di un nuovo umanesimo

La politica come realtà umana da salvare appartiene certamente all’esperienza del cristiano e fa parte integrante del suo cammino di fede. In questa direzione, Gesù ha tenuto un comportamento chiaro e preciso, per cui anche il discepolo non può che seguire le sue orme.
Ci sono in tal senso riferimenti evangelici sicuramente illuminanti, sui quali cercheremo di focalizzare l’attenzione. Intanto è emblematico il brano di Lc 20,20-26: «Postisi in osservazione, mandarono informatori, che si fingessero persone oneste, per coglierlo in fallo nelle sue parole e poi consegnarlo all’autorità e al potere del governatore. Costoro lo interrogarono :”Maestro, sappiamo che parli e insegni con rettitudine e non guardi in faccia nessuno, ma insegni secondo verità la via di Dio. E’ lecito che noi paghiamo il tributo a Cesare?”. Conoscendo la loro malizia, disse: “Mostratemi un denaro: di chi è l’immagine e l’iscrizione?”. Risposero: “Di Cesare”. Ed egli disse: “Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”. Così non poterono coglierlo in fallo davanti al popolo e, meravigliati della sua risposta, tacquero».

La prima considerazione che emerge chiaramente dalla disputa tra Gesù e i farisei è che Gesù accetta il quadro sociale in cui vive, cioè quello di una Palestina ove il potere politico supremo è quello romano, potere che viene esercitato immediatamente in alcuni ambiti quali imposte, circolazione monetaria, giurisdizione almeno per certi crimini, etc…
Gesù, dunque, paga le imposte sia a Cesare che al Sinedrio (Mt 22,15-22; 17,24-27) perché egli è portatore di un annuncio del regno di Dio che ha leggi e regole non concorrenziali rispetto a quelli di Roma; Gesù , – a differenza di altri gruppi del suo tempo, come quello degli esseni, che erano monaci isolati nel deserto con una visione settaria della società, o degli zeloti, che erano ribelli al giogo romano e per questo combattevano per la libertà politica di Israele sostenendo che essere sudditi di Roma equivaleva a tradire Jahvè, – non costruisce una società a parte, ma accetta il quadro sociale del suo tempo e rivolge l’invito ai suoi discepoli a seguirlo in questo atteggiamento.
L’accettazione dell’ordine sociale esistente non ha significato, tuttavia, per Gesù, l’accoglimento passivo di tutto ciò che esso esprimeva, tant’ è che in varie circostanze egli non manca di assumere comportamenti di forte condanna delle ingiustizie e dell’oppressione.
Alla luce di questa prima considerazione, pertanto, sarebbe un grave errore concepire la fede cristiana come qualcosa di staccato o di separato dalla realtà socio-politica del nostro tempo; al contrario, il messaggio di Gesù sprona invece ad un coinvolgimento nel sociale e nel politico, ad una partecipazione attiva alla vita della società, delle città in cui i cristiani vivono.

I re, i capi delle nazioni, i magnati si fanno chiamare “benefattori”… Voi non fate come loro…
In queste parole di Gesù c’è senza dubbio un giudizio critico generale sul comportamento dell’autorità politica e delle gerarchie sociali. Gesù, ad esempio, non manca di stigmatizzare l’atteggiamento astuto e furbo di Erode, che viene definito “volpe”(Lc 13,32), come pure non evita di mettere in evidenza l’ethos di coloro che si fanno chiamare “benefettari”, cioè i “re” e i “capi delle nazioni”, i quali esercitano, invece, una azione oppressiva verso il popolo.
Si tratta di modelli negativi che Gesù rifiuta e che pone di fronte ai suoi discepoli per metterli in guardia dal rischio di imitazione e per affermare la necessità di operare in maniera diversa seguendo il suo esempio di Maestro, che è venuto nel mondo non per “essere servito ma per servire”.
Ne scaturisce,così, che la fede cristiana deve avere nel servizio il “quid” essenziale. Servire è la parola d’ordine del cristiano, è l’habitat naturale in cui deve svilupparsi ogni sua azione, ogni suo pensiero e sentimento.

Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio.
Il fatto che Gesù assuma un atteggiamento critico nei riguardi dell’istituzione sociale e politica del suo tempo non indica che il suo ethos sia improntato alla disobbedienza verso l’autorità; anzi, egli invita a “rendere a Cesare quel che è di Cesare”. L’ambito di Cesare è quello istituzionale, socio-politico, ed è diverso e distinto dall’ambito ecclesiale, che è quello religioso. I due ambiti sono tra di loro distinti ma non separati, dialogano ma non si confondono, ognuno ha esigenze diverse rispetto all’altro e si muovono con prospettive di servizio proprie specifiche.
Questo, allora, implica che l’autenticità della fede cristiana si misura in entrambi i campi e che non è possibile che un credente riduca la propria fede a qualche attività nella sfera ecclesiale. La fede dei cristiani è autentica quando si concepisce come accoglienza dell’uomo, del prossimo, degli ultimi, degli emarginati, dei poveri, delle persone con cui ci si confronta quotidianamente; quando si fa carico dei problemi della società, della gestione del bene comune, del problema della casa, del lavoro, dell’assistenza; quando si costruisce la legalità, rispetto delle Istituzioni e si ha il senso dello Stato; quando si supera la tentazione del disimpegno, dell’indifferenza, dell’apatia e del distacco dal campo di Cesare, perché ritenuto, a ragione, sporco, demoniaco, impraticabile e in contrasto con l’insegnamento di Gesù.
L’esperienza dei cristiani non può non fare i conti con la presenza sociale e politica, sicuramente difficile complessa ma necessaria, nella nostra realtà contemporanea, se non vuole rischiare di apparire una “fuga” dalla società, mascherata, a volte, con la giustificazione di un costante continuo impegno a “rendere servizi a Dio” all’interno della Chiesa.