La cultura per vincere la paura: a colloquio con Marino Sinibaldi, già direttore di Rai Radio 3

La cultura per vincere la paura: a colloquio con Marino Sinibaldi, già direttore di Rai Radio 3

La rete digitale è il terreno della principale battaglia culturale che abbiamo di fronte dove costruire una cultura fatta di collaborazioni e solidarietà. Per Marino Sinibaldi, presidente del Centro per il Libro, ideatore del programma radiofonico Fahrenheit e per anni direttore di Rai Radio3, solo costruendo delle reti sarà possibile affrontare il futuro e far crescere la cultura. La rete digitale è il terreno della principale battaglia culturale che abbiamo di fronte dove costruire una cultura fatta di collaborazioni e solidarietà. Per Marino Sinibaldi, presidente del Centro per il Libro, ideatore del programma radiofonico Fahrenheit e per anni direttore di Rai Radio3, solo costruendo delle reti sarà possibile affrontare il futuro e far crescere la cultura.

Ma se in Italia solo il 40% della popolazione sopra i sei anni legge almeno un libro l’anno, come si fa a far crescere la cultura?
E’ uno dei nostri drammi attuali – risponde Sinibaldi – guardiamo alla polemica sui vaccini riferita alla crisi della pandemia. C’è un problema di conoscenza, di informazione corretta, quindi culturale, che coinvolge anche le campagne vaccinali, ossia la parte più importante della lotta alla pandemia. Ma c’è un livello più profondo: con quali strumenti culturali affrontiamo un dramma che ha ricadute psicologiche, private e pubbliche che non siamo ancora in grado di misurare?


Lei ha fatto cultura alla Radio. Oggi prevalgono altri canali di comunicazione, non più da uno a molti, ma da molti a molti come internet e i social. Cosa è cambiato?
Si sono prese direzioni opposte: da un lato sicuramente si è ampliata la possibilità di conoscenza. In questo anno e mezzo di vita rallentata abbiamo scoperto, se volevamo, quante esperienze culturali si possono fare sul digitale. Indubbiamente esiste un problema: per loro natura quegli ambienti sembrano favorire le opinioni violente, le verità superficiali o le fake news. Si tratta della seconda natura della rete, elemento molto preoccupante. Da una recente indagine emerge come i no-vax pur essendo una minoranza sulla rete si ricavano uno spazio maggioritario: esprimono posizioni estreme e suggestive che attirano attenzione. Questo allora diventa il terreno della principale battaglia culturale che abbiamo di fronte: portare cultura in rete dove sembra prevalere l’ignoranza e la semplificazione.


Come è possibile farlo?
Ci vogliono strumenti nuovi, che la mia generazione non è riuscita a inventare, in grado di suscitare discussioni produttive. Dobbiamo far prevalere, anche nella rete, gli elementi della comprensione del mondo, l’accettazione della sua complessità. Solo così faremo emergere le potenzialità positive.


Lei attualmente è presidente del “Centro per il libro e la lettura”. Quali responsabilità ha la scuola se solo il 60% degli italiani non legge nemmeno un libro l’anno?
Non è responsabile la scuola, né i mezzi di comunicazione di massa, né le famiglie: lo sono tutti. Nessuno fa abbastanza e non si può attribuire la colpa a nessuno in particolare. In ogni caso cercare dei responsabili non ha senso: mettiamoci alle spalle la questione delle colpe e cerchiamo delle strategie per cambiare. Per promuovere la lettura occorre una rete: non basta la famiglia, non basta una editoria più attenta ai giovani. Durante la pandemia il numero dei lettori in Italia è cresciuto: anche perché le librerie sono rimaste aperte, la politica ha sostenuto questo impegno e anche le biblioteche si sono date da fare. Quella delle reti è una lezione che abbiamo imparato dalla pandemia: mettere insieme attori e funzioni diverse.


La sua idea per uscire veramente dalla pandemia e dalla crisi?
Bisogna essere liberi e forti. Dobbiamo trovare le nuove condizioni della libertà dentro la disciplina, ma soprattutto una forza sia individuale che collettiva. Se non costruiamo un “carattere forte” e solidale l’indebolimento e la rilassatezza, anche a livello sociale, ci porta all’inconsapevolezza. Come l’adolescente che deve in qualche modo contrastare la tentazione di lasciarsi andare a provare di tutto, droghe comprese, non può farlo se è abbandonato a se stesso, così oggi noi abbiamo bisogno di un carattere forte che abbia radici nelle reti, nelle collaborazioni, nel lavoro solidale e collettivo. Questo è il tempo dell’incertezza e la cultura collettiva può darci forza e solidità. Mi preoccupano invece quegli intellettuali che si parlano addosso in solitudine e fanno della cultura un’operazione solipsistica e sterile