In cammino alla ricerca della Verità fra “le tante verità”

In cammino alla ricerca della Verità fra “le tante verità”

Nella società del nostro tempo, influenzata dal web, dalla democrazia del clic, “mi piace”, tipica di facebook, dal commento anonimo on line, dall’opinione di massa, si avverte sicuramente una grande esigenza: il bisogno di verità. Verità: una parola magica, girata e rigirata con il criterio della convenienza, da alcuni proclamata con violenza ed arroganza, da altri rifiutata o subita, da altri ancora rivendicata come possesso. Ma che cos’è la verità! Come è possibile distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è. Perché per secoli nei tribunali si è usato giurare sulla Bibbia di “dire la verità”? Come poter essere veri con se stessi e veritieri in una società fatta di ruoli e di immagine? Da cosa si distingue un comportamento vero da uno falso? Se una cosa è vera, perché spesso non è vera per tutti e per sempre allo stesso modo?

Sono, queste, domande profonde che appartengono a tutti, credenti e non credenti, cristiani e credenti di altre religioni; sono domande che i cristiani non possono eludere, atteso che lo stesso Gesù in Gv 8,32 dice “conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”; e considerato che , sempre in Gv 18,37, Gesù afferma: “Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità”.

Cominciamo, anzitutto, col dire che la parola verità mentre nella sua accezione ebraica, “emet”(verità, stabilità, fedeltà), e in genere nel pensiero della Bibbia, fa riferimento non tanto a ciò che è da “conoscersi”, da “dirsi” o da pensare, ma a “ciò che è da farsi”, da “praticare” nel tessuto della storia umana, nella sua accezione greca di “aletheia” significa invece svelamento, chiarificazione, spostando quindi l’asse dell’attenzione sulla dimensione conoscitiva e astratta della verità intesa dai greci come chiarezza delle idee e contemplazione intellettuale, donde “theoria”, dal verbo “theorein”, vedere.

Fatta questa premessa, segue un dato certo: non c’è uomo al mondo che attraverso le sue attività non sia proteso a ricercare quella che genericamente viene definita “la verità”: la cerca e la ricostruisce il giudice nei processi e in base ad essa valuta le responsabilità. Cerca “la verità” lo scienziato che studia la fisica e la biologia, al fine di scoprire la vera realtà dei fenomeni e delle leggi che li governano; cerca la verità il medico quando tende ad accertare le patologie dei suoi pazienti al fine di definire la terapia giusta; cerca la verità lo storico che ricostruire i fatti di un periodo ; cercano e/o propongono e/o impongono la verità le ideologie politiche, partitiche, culturali, filosofiche. Le stesse religioni, quando si pongono le domande “chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo”, “cosa c’è dopo la morte”, propongono vie per raggiungere la verità.

Insomma, la ricerca della verità accompagna quotidianamente il cammino dell’uomo; non solo, lo rende difficile, lo complica creando anche divisioni, conflitti, dubbi. E così l’uomo del nostro tempo se, da una parte, quando si mette alla ricerca della verità, rifiuta la verità “ipse dixit”(a partire da chi la afferma e dal potere che esercita), dall’altra soggiace superficialmente alla “verità mediocratica”, cioè a quella che viene sentenziata da sondaggi, statistiche e “opinion maker” che abbondano nel mondo mass mediatico.

Ad ogni modo, è fuori discussione il fatto che ogni verità che si ritiene tale, tende ad influenzare l’esistenza, tant’è che Giovanni Paolo II nella sua “Fides et ratio” afferma al n. 28: “mai l’uomo potrebbe fondare la propria vita sul dubbio, sull’incertezza o sulla menzogna; una simile esistenza sarebbe minacciata costantemente dalla paura e dall’angoscia. Si può definire, dunque, l’uomo come colui che cerca la verità”.
Ma se nella società del nostro tempo le verità che tendono di affermarsi sono molteplici e contrastanti, e spesso interscambiabili, indefinibili, modificabili, non valide per tutti, che senso possono ancora avere le parole del vangelo lì dove Gesù dice: “Io sono la verità”?

Ci domandiamo: Gesù di Nazareth, l’uomo-Dio, è una delle tante verità, come, ad esempio, la “verità mitica” presente nelle tragedie di Eschilo, Sofocle, Euripide dove sono gli dei che decidono arbitrariamente le regole e le norme alle quali l’uomo deve conformarsi, pena la sua rovina? Oppure come la “verità retorica” in base alla quale chi sa convincere il pubblico, chi usa meglio le parole, chi convince il maggior numero di persone possiede e dice la verità? Oppure, ancora, come “la verità filosofica” in base alla quale sono le regole oggettive, logiche e linguistiche, a definire che cosa è la verità? Oppure come la “verità scientifica”, in base alla quale è la scienza a costituirsi come chiave totale di interpretazione della realtà, negando ogni spazio al mistero e pretendendo di giungere alla conoscenza di tutti i fenomeni e alla loro spiegazione? Oppure, in ultimo, come la “verità tecnica” per cui è il “vero” non è più un presupposto o una condizione, ma semmai un risultato, un prodotto che è tale solo e fino a quanto “funziona”?

Nel cristianesimo la verità è un’altra cosa. Non è un sistema di conoscenze, di norme, un’ideologia o uno stato intellettuale, ma un accadimento, un evento, un fatto: Dio fa, realizza quello che dice e promette. Dio è verità, nella tradizione ebraica, perché è fedele a ciò che dice e promette, è fedele alla sua parola che promette salvezza. E allora, che cosa vuol dire Gesù quando afferma: “Io sono la verità”? Notate che non si limita a dire: “io vi ho detto, vi dico la verità”, ma “io sono la verità”. Nella persona di Gesù, nella sua vita, nelle sue parole ci viene detto tutto quello che Dio ha deciso di dirci. Non è solo attraverso le parole di Gesù che noi conosciamo quanto Dio ha da dirci: è la persona di Gesù che è quanto Dio ha da dirci (= Lui è la Verità). Gesù è verità non perché parla, parla, parla come facciamo noi, ma perché fa, fa , fa, agisce ed opera; e ciò che promette, cioè una vita piena e realizzata, lo mantiene. La verità per il cristiano non è dunque qualcosa che si possiede, un oggetto di cui si possa disporre per stare sopra gli altri, un formulario di dottrine da imporre; un cristiano è abitato dalla verità ed è nella verità quando “vive da risorto”, quando ogni giorno ha il coraggio di passare dal male al bene, dal peccato alla grazia, dall’egoismo alla carità, dalla guerra alla pace. Quando noi scriviamo ogni giorno, con la nostra vita, i “racconti della resurrezione” del Cristo che vive in noi il suo mistero pasquale, in questo caso non solo siamo posseduti dalla Verità, ma come Gesù diamo testimonianza alla “Verità”. Chi vive questa dimensione è ontologicamente nella verità e non ha alcun bisogno di doverlo dimostrare. E chi per la verità è anche disposto a pagare con la vita, diventa , in effetti, come i martiri del primo cristianesimo, il più genuino testimone della verità sull’esistenza, perché “sa di aver trovato nell’incontro con Gesù Cristo la verità sulla sua vita e niente e nessuno potrà mai strappargli questa certezza. Né la sofferenza né la morte violenta lo potranno fare recedere dall’adesione alla verità che ha scoperto nell’incontro con Cristo” (Fides et, ratio, 32).

Gesù è la Verità che non cambia e che nessuna concezione storicistica, nichilistica, scientista, eclettica, relativistica dell’uomo e della storia potrà mai eliminare, perché non si tratta, come già detto, di una ideologia, di valori su cui discutere, ma di un evento oggettivo che ha cambiato la storia, che ha reso l’uomo più umano e più libero; si tratta di un accadimento dove “verità e libertà” sono state pagate a caro prezzo. E verità e libertà ha ricercato e ricerca l’uomo di ogni tempo. E quanti come don Pino Puglisi, Don Diana e martiri contemporanei anche laici come Falcone e Borsellino, hanno vissuto di “verità e libertà”, hanno servito la verità e la libertà, ci dicono che la domanda cruciale di ogni esistenza umana è: che senso ha la mia vita? E la verità, per l’uomo, non può darsi che come risposta a questo interrogativo.