“Il corpo ci arriva prima”. Preoccupazioni ed emozioni nei bambini / 4

“Il corpo ci arriva prima”. Preoccupazioni ed emozioni nei bambini / 4

“Ogni persona, anziché chiedersi cos’è la cosa giusta da dire o fare per l’altro in maniera preconfezionata, dovrebbe partire dal proprio sentire, intercettando le emozioni proprie e altrui

In questa quarta parte ho deciso di spiegare la scelta del titolo. Nominando questi ultimi articoli “il corpo ci arriva prima” ricordo e porto con me, una lezione con il Dott. Vetere, il docente che più mi ha cambiato il modo di vedere le cose, insegnandomi ad approcciarmi alle persone che incontro in modo sistemico superando a pieno la dicotomia mente/corpo.
Gli adulti in generale e a volte anche i professionisti della mente, dimenticano troppo spesso il corpo dando valore più alla parola che a tutti i segnali che gesti ed espressioni

possono mandare. Lo si fa convinti che nella verbalizzazione di pensieri ed emozioni possa esserci la risoluzione del malessere. Ma cosa fare quando la persona davanti a noi è un bambino? Quando l’impossibilità di trattare argomenti astratti ci costringe a valutare l’importanza del concreto?

Nel relazionarsi con l’altro, che esso sia un adulto o un bambino, tutti noi dovremmo rifarci in primis alla fiducia verso la nostra mente e il nostro corpo. Siamo stati progettati per l’interazione umana e di conseguenza siamo dotati di tutti gli strumenti per poterci connettere l’un l’altro.

L’intersoggettività trova le sue basi nei neuroni specchio, una classe di neuroni motori che si attiva involontariamente sia quando un individuo esegue un’azione finalizzata, sia quando lo stesso individuo osserva la medesima azione compiuta da un altro soggetto qualunque. Essi sono stati scoperti per la prima volta verso la metà degli anni ‘90 da Giacomo Rizzolatti e colleghi, presso il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma. Gli studiosi hanno messo in evidenza che questa connessione non riguarda solo il mondo delle azioni, ma anche quello delle emozioni e delle relazioni. Il riconoscimento delle emozioni stesse si basa su questo “meccanismo a specchio” in quanto, quando osserviamo negli altri una manifestazione di dolore, si attiva il medesimo substrato neuronale collegato alla percezione in prima persona dello stesso tipo di emozione, permettendoci quindi di percepire la stessa emozione. Proviamo a pensare all’apprendimento dei bambini, quando essi impararono a parlare, mangiare, camminare passano attraverso l’imitazione dell’adulto, osservando e sperimentando.

Lo stesso capita per le emozioni e il modo di saper gestire delle situazioni: se un piccolo ha davanti a sé un adulto in grado di riflettere, gestire il suo vissuto e rielaborarlo tramite la verbalizzazione del sentire, anche lui diventerà in grado di sperimentare e superare ciò che gli accade. Tutto questo ci fa quindi capire che esiste un meccanismo naturale, biologico che ci mette in relazione, che ci fa stare bene o meno con gli altri. è proprio a partire dalla consapevolezza di essere dotati di questo meccanismo che possiamo tentare di aiutare chi abbiamo di fronte a superare un determinato evento.

Ogni persona, anziché chiedersi cos’è la cosa giusta da dire o fare per l’altro in maniera preconfezionata, dovrebbe partire dal proprio sentire, intercettando le emozioni proprie e altrui. Una volta messe in evidenza si può favorire un dialogo non basato esclusivamente sul disagio altrui, ma su ciò che prova chi sta in ascolto. Rivelare ciò che sentiamo nel guardare l’altro può concedere a chi sta male l’opportunità di parlare.

Molto spesso capita che si pensi che sia troppo impegnativo il dialogo su temi importanti quali una separazione, un lutto o una malattia, ma in questi casi il bambino ha già dentro di sé il disagio e il dolore, il disorientamento e l’ansia relativi a questo avvenimento perciò dare l’occasione di parlare permette di affrontare il silenzio che sicuramente non esclude il dolore, ma anzi lo comprime all’interno del corpo.

Un bambino deve poter trovare il contenimento a queste tematiche proprio a partire dal corpo. Quando un bambino soffre quello che lo farà sentire meglio nell’immediato è esser stretto in un abbraccio.

Le braccia di un adulto, il riflesso nella sua sicurezza, il respiro della sua calma, permetterà al bambino di ristorarsi e trovare le energie per ripartire. Ripartirà ancora una volta dal suo corpo, dalle azioni tipiche del bambino, quali il gioco e l’attività fisica.

Come ho spiegato da Panksepp, esiste una corteccia cerebrale che ha una conoscenza positiva riguardo al mondo e che, se stimolata con il gioco, svilupperà un cervello sano e in buona salute. Ogni bambino dovrebbe concludere la sua giornata giocando e sorridendo, in modo da dimenticare le brutte memorie della giornata appena passata.