“Il corpo ci arriva prima”/2

“Il corpo ci arriva prima”/2

Preoccupazioni ed emozioni nei bambini: nel comunicare, chi impara non è solo il piccolo; anche gli adulti devono andare in profondità favorendo la comprensione e l’aiuto reciproco.

Come mai un bambino risente così tanto di ciò che prova? Come può un’emozione influire su tutte le altre prestazioni fisiche e cognitive? Le parti più profonde ed arcaiche del Sistema Nervoso Centrale (SNC) hanno esperienza, ma non consapevolezza. Sono però le parti basse, ossia quelle sottocorticali, che controllano le componenti più in alto, per cui sono i sentimenti a controllare i processi di apprendimento e non viceversa.

Non è raro, infatti, che un’angoscia da separazione, la solitudine e la mancanza di supporto sociale possano rappresentare le più potenti emozioni che un individuo possa provare con conseguenze psicologiche e talvolta, psichiatriche. Quando il nostro corpo avverte un pericolo, che esso sia concreto o semplicemente percettivo, non riesce a distinguere la natura del pericolo stesso, ossia esso reagisce come facevano i nostri antenati secondo una modalità di attacco o fuga.

In questo senso un bambino, che non riesce a misurare la gravità del problema che ha davanti a sé, non riesce a distinguere un leone da una verifica a scuola o da un problema in famiglia; i più piccoli, sulla base delle loro capacità cognitive ed età di sviluppo emotivo, non riescono in tale operazione in quanto impossibilitati nell’integrare la funzione riflessiva alle loro percezioni.

Se un organismo è bloccato su una modalità di sopravvivenza, le sue energie sono impiegate per combattere nemici invisibili, il che non lascia spazio per il nutrimento, la cura e l’amore. Per noi umani significa che, finché la mente si difende da assalti inesistenti, i nostri legami più intimi ne sono minacciati, insieme alle capacità di immaginare, pianificare, giocare e apprendere.

Questo capita anche agli adulti che nei momenti di dolore acuto non riescono a prestare attenzione ai bisogni delle altre persone, tra cui i propri figli. Quando accadono cose spiacevoli e dolorose in famiglia che comprendono sia i grandi che i piccoli, l’adulto ha la possibilità di rifarsi alla parte cognitiva del proprio sistema mentale, che gli permette di controllare e gestire la sua reazione emotiva davanti all’evento. In questi casi l’adulto riesce a compiere la sua funzione di “base sicura” e il bambino può godere quindi di un contenimento alla paura nel qui ed ora, sentendosi protetto e rassicurato.

In altri casi può accadere invece che l’adulto non riesca a controllare l’allarme emotivo scatenato dalla situazione in corso, provocando nel bambino un senso di disorientamento e terrore.
Il bambino si trova di fronte ad un adulto che anziché essere il capitano di una nave sicura, diventa un capitano che ha perso il controllo della rotta. Questa reazione degli adulti genera disagio nel mondo interno dei bambini, perché generalizza il senso di allarme, anche se in realtà il pericolo può non riguardare il bambino stesso o persino l’adulto disorientato. Per aiutare un bambino è necessario quindi permettere un’integrazione tra la parte emotiva e quella cognitiva, ossia ogni stimolo esterno deve essere riconosciuto, validato, elaborato nella sua mente in modo da poterlo rendere concretizzabile e poi superabile.

Un bambino deve poter chiedere, capire, sperimentare in quanto se gli viene data la possibilità di esprimere la sua angoscia, di piangere, di porre domande, non sarà costretto a ingabbiare la sofferenza e il disagio dentro di lui rischiando di trasformarlo in dolori fisici, disturbi comportamentali o di apprendimento.

L’adulto non deve quindi scappare alle domande legate ad una situazione dolorosa. Il silenzio non tiene lontano e non fa superare la paura. Ogni persona vicino ad un bambino deve ricercare parole semplici per dar voce al suo dolore interno. Anche quando non si sa cosa dire davanti alla sofferenza di un piccolo, riuscire a tradurre ciò che sente in qualcosa di più comprensibile lo aiuterà a superare il suo malessere. Chiarire che davanti ad una situazione è normale che possa sentirsi triste o arrabbiato lo aiuterà a concedersi il dolore che non riesce a smaltire se non tramite l’uso del suo corpo.

Nel comunicare con un bambino, chi impara non è solo il piccolo, ma anche gli adulti che devono accettare di andare in profondità, scavando dentro di sé per riconoscere nel proprio interno le emozioni che oltre a caratterizzarci permettono di collegare una persona ad un’altra, favorendo la comprensione e l’aiuto reciproco.