Il clima educativo ed affettivo della classe come “antidoto” alle relazioni disfunzionali

Il clima educativo ed affettivo della classe come “antidoto” alle relazioni disfunzionali

L’attività didattica mette sicuramente il docente di oggi di fronte a situazioni di gruppi-classe nei quali non sempre il clima è del tutto positivo. A volte, a rendere complessa la gestione dei gruppi allievi è la presenza di studenti che presentano atteggiamenti comportamentali di “sfida”, di bullismo, oppure atteggiamenti autoemarginanti che rivelano come alla base ci siano “bisogni inespressi”. In situazioni del genere, quali strategie educative il docente può attivare al fine di inserire questi soggetti nella normalità di un itinerario didattico? Certamente l’insegnante non può improvvisarsi uno psicologo non avendone le competenze, ma è pur vero che egli può trovare la strada per aiutare quegli studenti che fanno della “sfida” la loro forza, o quelli che si autoemarginano perché incapaci di esprimersi.

Il clima educativo ed affettivo come “antidoto” alle relazioni disfunzionali

Non c’è dubbio che l’elemento cruciale in grado di favorire o pregiudicare il processo di apprendimento/insegnamento è l’interazione che si stabilisce in classe non solo tra docente e alunni, ma anche tra gli stessi alunni; interazione che coinvolge molteplici variabili: differenti personalità, atteggiamenti, capacità ed esperienze, nonché diversi stili, modalità e strategie di apprendimento. Compito del docente è creare il clima idoneo, le condizioni relazionali migliori , non solo per evitare il sorgere di “comportamenti disfunzionali”, ma per porre le basi per un apprendimento significativo e duraturo. Tale clima può essere determinato se il docente nella comunicazione educativa assume una dimensione di “stima-calore-propensione”, nel senso che si pone con un atteggiamento di fiducia, di comprensione e di incoraggiamento nei confronti degli allievi.

Una metodologia di interventi nell’interazione interna al gruppo-classe e nelle relazioni disfunzionali

La prima consapevolezza che il docente deve acquisire e far acquisire ai suoi allievi è quella di far percepire il gruppo-classe come un “luogo di lavoro per la maturazione comune”. Il gruppo-classe non può ridursi ad un semplice insieme di persone, dove si trovano alunni, ad esempio, poco disponibili a lavorare con gli altri, studenti molto timidi che vengono sopraffatti dai più estroversi e non riescono a trovare il modo di esprimere le proprie opinioni, etc.. Piuttosto occorre che il docente favorisca e valorizzi la coesione del gruppo, la quale dipende dalla soddisfazione dei bisogni psicologici dei singoli membri, dalla scelte degli obiettivi, dalla precisazione dei ruoli attesi e attribuiti, dall’atmosfera e dal clima di fiducia, di sincerità, di dialogo, di disponibilità che devono circolare in continuazione nella vita del gruppo-classe. Nella vita di gruppo occorre, inoltre, far sì che siano eliminate impulsività, aggressività, mania di essere i primi o i più bravi, o, al contrario, eccessiva remissività, accondiscendenza cieca, gregarismo senza cervello; oppure manie di giudicare, di criticare, di condannare, di attribuire la colpa degli insuccessi sempre agli altri, di giocare a scaricabarile, di umiliare gli altri.

Ma qualora insorgano comportamenti di sfida, quali gli interventi educativi del docente? E se uno studente ha dentro di sé ”bisogni” che , rimanendo inespressi, bloccano la sua crescita, il suo apprendimento, cosa si può fare per aiutarlo? Nel primo caso, la strategia educativa più corretta sembra essere quella che si muove in questa direzione:

  • non accettare la sfida e le provocazioni che possono venire dall’allievo, perché significherebbe acuire la situazione e il clima di tensione;
  • evitare facili moralismi, o giudizi di condanna senza alcuna interazione dialogica;
  • cercare di capire le ragioni di tale comportamento operando un percorso “ricostruttivo” nel quale lo studente possa essere “compreso in sé”, nelle sue motivazioni, nelle sue problematiche interiori.
  • Un percorso ricostruttivo fondato su “una comunicazione educativa” snodata in quattro fasi:
  • l’accoglienza: accogliere lo studente così come è, senza pre-comprensioni e pregiudizi;
  • l’esplorazione: entrare nel mondo dello studente “ponendo domande” al fine di esplorare dentro eventuali suo difficoltà;
  • il confronto: avviare un confronto aperto, sincero, leale sui problemi di apprendimento;
  • la soluzione: trovare insieme allo studente una via d’uscita al problema.
  • Relativamente al secondo caso, cioè di un allievo che si pone in modo marginale nella vita didattica e nella relazione con la classe, occorre che il docente sappia aiutare l’allievo a prendere l’iniziativa per raggiungere due obiettivi:
  • un processo di autorealizzazione: lo studente deve essere aiutato a capire che in lui ci sono talenti, capacità e potenzialità; egli deve diventare “ciò che è”, acquistando stima di sé e alcune sicurezze, quali appartenenza al gruppo, amare ed essere amato, avere approvazione sociale, autoconsiderazione ed eteroconsiderazione;
  • autonomia operativa, cioè l’indipendenza dal giudizio degli altri, capacità di chiedere, porre domande e prendere decisioni, controllo delle proprie emozioni e assunzione di responsabilità.

In questa dinamica relazionale, non c’è dubbio che la Scuola chiede oggi al docente una forte “flessibilità”, ossia la capacità di automodificare l’attività didattica ed educativa, in rapporto alle diverse esigenze e richieste della situazione degli allievi e del contesto socio-culturale in cui operano. L’azione didattica è flessibile se si costruisce in situazione, in risposta, cioè, alle esigenze ed ai prerequisiti degli alunni, ma anche se è in grado di collegare e correlare le situazioni, da cui si parte e in cui si opera, con il traguardo verso cui tendono intenzionalità educativa e l’azione didattica.

La centralità dell’educando richiede la flessibilità necessaria a personalizzare gli interventi educativi e didattici, specie nelle relazioni disfunzionali, nella consapevolezza però che l’allievo è il polo fondamentale dell’intervento educativo, ma non è l’unico: altri poli sono i genitori, i compagni di classe, l’ambiente scolastico. La flessibilità richiede un costante atteggiamento di disponibilità mentale ed affettiva del docente che si traduca nel sapere ascoltare, osservare, capire ciò che è più rispondente alle possibilità di crescita e di sviluppo degli allievi secondo le loro diversità socio-affettive, cognitive e comportamentali.