“Holocaust Education” nell‘educazione religiosa

“Holocaust Education” nell‘educazione religiosa

Negli anni ’70 il termine “Holocaust” è diventato conosciuto anche in Europa grazie alla serie televisiva americana “Holocaust”. In seguito si cominciò a discutere della pedagogia e di come il tema sarebbe stato inserito all’interno dell’insegnamento scolastico. Così negli anni ’80 è stato coniato il termine tecnico “Holocaust Education”. Non è stata una scelta conveniente perché la traduzione letterale riporta alle vittime morte negli incendiche poco hanno a che fare con lo sterminio degli ebrei.

Oramai l’Olocausto rientra in tutti i programmi scolastici. Soprattutto in Germania, esistono diversi  studi sul tema che viene fatto rientrare in più materie d’insegnamento[1]tranne quella dell’educazione religiosa. In realtà, anche tanti insegnanti di religione si occupano di questo tema nelle loro lezioni, dando così un contributo necessario alla formazione dei giovani. 

Per indagare i motivi che portano gli insegnanti di religione ad affrontare temi legati alla Shoah (è il termine che preferisco), lo scorso anno sono stati consultati dieci insegnanti di religione protestante provenienti da regioni diverse dell’Austria. Attualmente è in corso un’altra ricerca in Germania, Svizzera ed Austria.

Dalla ricerca è emerso un dato importante: insegnare il tema “Olocausto” vuol dire soprattutto fare i conti con la propria storia famigliare. Chi non si è mai confrontato con la propria storia ha spesso delle difficoltà a rispondere alle domande degli studenti in maniera adeguata. Poiché è un tema controverso, subito le emozioni emergono intensamente (talvolta non tanto controllate) come anche in altri dibattiti problematici, per esempio discussioni sui rifugiati oppure sulla povertà, etc. In questo caso gli insegnanti hanno molto da fare per condurre bene i discorsi sul tema. 

Per cui – come primo passo – è necessario comprendere le proprie radici, confrontarsi con le opinioni dei propri antenati e riflettere sul proprio punto di vista. Le storie famigliari si trasmettono da una generazione all’altra spesso senza essere espresse con delle parole. Si potrebbe cominciare a esplorare la famiglia con la creazione di un albero genealogico e con delle interviste ai parenti più anziani che sono ancora in grado di ricordarsi e di parlare della seconda guerra mondiale. “Come l’hai (sopra)vissuta?” “Conoscevi degli ebrei all’epoca e cosa ne sai della loro storia?”. Alla fine rimane una domanda: “Cosa c’entra questo con me e la mia vita?”. 

Chi si lascia sommergere dalla propria storia sente l’urgenza di saperne di più. Questo entusiasmo si deve usare per trasmettere agli studenti l’importanza di “esplorare le proprie famiglie”. In questo modo non diranno mai più: “Non mi interessa”, perché capiscono che la storia del Paese ha molto a che fare con loro personalmente. La “Holocaust Education” deve andare oltre i massacri, i dati e i fatti. Include anche i temi come il mobbing, l’amicizia, scatenare l’odio  e i meccanismi che inducevano delle persone a comportarsi in maniera inumana. Purtroppo non sono temi passati, ma invece molto attuali.

La Bibbia ci dà pure tanti esempi per mettere in discussione i comportamenti degli essere umani e di genealogie e storie famigliari che influenzano ancora la terza o quarta generazione.


[1] BASTEL, Heribert/HALBMAYR, Brigitte (Hg) (2014), Mauthausen im Unterricht. Ein Gedenkstättenbuch und seine vielfältigen Herausforderungen, LIT-Verlag: Wien, Berlin; SCHWENDEMANN, Wilhelm (2013), Erinnern und Lernen in bildungswissenschaftlicher Perspektive – Was soll in einer zeitgemäßen Form der Auseinandersetzung mit dem Holocaust gelernt werden?, in: Nickolai, Werner/Schwendemann, Wilhelm (2013), Gedenkstättenpädagogik und Soziale Arbeit, LIT-Verlag: Berlin, S 101-115