FOCUS: “7 STORIE D’ARTE” Incontro col maestro Domenico Cardella

FOCUS: “7 STORIE D’ARTE” Incontro col maestro Domenico Cardella

E’ stata recentemente inaugurata negli spazi della Pescheria Vecchia di Este,  la mostra “7 Storie D’Arte”, curata da Sonia Strukul con il patrocinio della città di Este e la collaborazione della Libreria Gregoriana Estense e della Biblioteca Civica “Contessa Ada Dolfin Boldù. Fra gli artisti che espongono incontriamo per una breve intervista il Maestro Domenico Cardella,  insegnante di materie artistiche nonché docente titolare di Disegno e Storia dell’Arte, che si dedica da oltre 35 anni ad attività espositive in Italia e all’estero e alla formazione dei giovani ai linguaggi artistici.

D. Professor Cardella ci esponga la scelta delle sue opere per questa mostra e il tema che ha voluto proporre.

R. Ovviamente le venti opere esposte non forniscono affatto un panorama esaustivo di tutta la mia produzione, però, palesano nettamente alcune componenti tipiche di tutto il mio linguaggio visivo, connotato di formule già collaudate nel corso degli anni come sperimentazione autonoma di un’esigenza interiore dalla “doppia anima”, una costante dialettica con lo spazio e la memoria: ricerca formale e di stile, sulla scia di alcune tendenze dell’arte europea e recupero della memoria, nella quale faccio affluire molteplici suggestioni di un vissuto remoto, perso nel tempo. Tutta la mia arte, ironica, ludica, persino sarcastica e affabulatoria, vive nell’’attualizzazione di un patrimonio di tracce memoriali, di un universo di forme e simboli che costituiscono i prodromi della mia sperimentazione tra passato e presente. Si colloca tra lo storico e biologico, tra l’antico e il moderno, tra l’antropologo e il ludico.

Con essa non propongo analogie con l’attualità, bensì si costituisce nel preciso compito dialettico che l’attualità è chiamata ad assolvere. La selezione delle opere presentate alla mostra è stata effettuata da me con l’obiettivo di ricordare l’importanza storica e sociale del “Mare Nostrum”. Con opere distintamente diverse tra loro per tecnica e forma, ho cercato di costruire un percorso di elementi facenti parte di un unico racconto: porre l’uomo in un costante dialogo con il mondo che lo circonda. Partendo da questo concetto la scelta non poteva che cadere inevitabilmente su alcune opere che richiamano il senso più profondo e misterioso di tutto ciò che sulla terra vive, cambia e matura: La Stele dell’Approdo e Dialogo Mediterraneo.

Due gruppi di opere diversi nella materia e nello stile ma unite nel concetto dal linguaggio dell’arte : “la voce dei popoli del Mediterraneo”. Questo corollario di significati costituiscono il perno della mia narrazione in questa esposizione.

 D. A quale opera è legato particolarmente?

R. Nonostante la domanda sia molto pertinente, proverò a risponderLe concretamente. L’alfabeto del mio linguaggio artistico è molto variegato, quindi, a prescindere dalla tematica o dalla tecnica, ogni opera presente in mostra è una parte di me, pur con analogie e rispondenze diverse è sempre una mia creatura, una mia invenzione, per cui mi risulta difficile sceglierne una in particolare. La mia produzione artistica  che non si sofferma alla pura fatticità dell’evento estetico dell’oggetto-opera, converge nell’espletare dentro e fuori l’opera tematiche dirompenti che preludono a temi arcani, a popoli lontani, a concetti metalogici e a molteplici correlazioni tra immagini e il loro riflesso psicologico. Per soddisfare la sua domanda, direi: “dialogo Mediterraneo” e non solo perché aderente ai molteplici significati dei nostri giorni. Cronaca a parte, in esso amo la contemplazione della tranquilla bellezza della materia e del colore. Ogni suo particolare sembra un romanzo del quale le singole parti costituiscono i capitoli e le varie forme sono altrettanti paragrafi.

Dialogo Mediterraneo e La stele dell’Approdo sono sicuramente le opere che mi rappresentano di più. Due modalità espressive apparentemente ambivalenti ma che esprimono concetti di estrema attualità. “L’artista si porta in giro un enorme quantità di indigeribili pietre del sapere, che poi all’occorrenza rumoreggiano puntualmente dentro e finiscono per risuonare all’esterno come zoccoli sul marmo”.

D. Quale poetica sottende all’elaborazione artistica del suo pensiero creativo?

R. Il rigetto verso ogni forma di canalizzazione di esperienze già scontate, predeterminate e monotematiche. Non voglio sollevare interrogazioni, dubbi, perplessità circa il “fare arte contemporanea oggi”, ma la mia pluralità di linguaggio e di modi di operare segnano uno sconfinamento formale e strutturale con la tradizione. Supera la bidimensionalità oggettiva, della tavolozza pittorica per diventare corpo materico, volumetrie plastiche, profili, ombre e sagome che si intrecciano e si sovrappongono, alla ricerca di un concreto contatto con l’essenza più intima della materia stessa con la natura delle cose.  Tutto sembra sovvertito a beneficio di una vicenda interiore, di un’estetica, capace di rivelarsi come rigoroso codice morale. Forme riconducibili agli elementi della natura, del sole, del mare, si contrappongono a volte simultaneamente a simboli e a figure ancestrali, apotropaiche e antropomorfe. Un’arte mutevole e versatile in grado di coniugare equilibrio stilistico con lo stridore dei forti contrasti. Un gioco delle parti che rende per assurdo prodotto artistico ben più espressivo di qualunque semplicistica omologazione.  

Ad una mia mostra alla Bertolt Brecht di Milano, Katia Ricci scriveva: Cardella insegue, dice, tra i labirinti della mente labili tracce, segni effimeri, immagini evanescenti di una naturalità persa nel tempo. L’indagine sulla materia ha il significato di fissare e rendere visibili quei brani di memoria, non di nostalgica valorizzazione del tempo.” (K. Ricci)

D. Il tema dell’inclusività pervade spesso i suoi lavori, “la Stele dell’Approdo”, “Dialogo Mediterraneo”, per Lei sono tematiche importanti nella sua creatività?

R. Parlare di inclusività è parlare non solo della nostra storia ma della storia dell’umanità.  Ripercorrendo infatti un immaginario itinerario di luoghi miti e leggende, da Atene a Sirmine, da Palermo a Cartagine, da Lepanto ad Alessandria fino a Itaca, appare chiaro come il “Mare Nostrum” conservi intatta nel suo grembo una tradizione che si è fatta testimonianza reale ed effettiva della nostra civiltà. Entriamo nella vita dei nostri giorni che, diversamente dalla parte storica ospita i segni della vita contemporanea, sembra che il mare, come un tempo sia tornato ad essere miniera di vita, foriero di illusioni e di speranze, soprattutto per coloro che hanno la fortuna di approdare nel nostro Paese.

La mia opera la “Stele dell’Approdo” va ad incardinarsi proprio su queste tematiche, infatti, sul piano simbolico, storico ed evocativo vuole essere recupero e testimonianza di approdo di comunità intere, di insediamenti umani che nel corso dei millenni, dalla protostoria ad oggi hanno  colonizzato la nostra penisola proponendo di volta in volta nuovi equilibri. Tracce di varie civiltà come segno indelebile del fluire del tempo e dell’alternarsi delle stagioni. 

Il mare rappresentava la strada più comoda per gli spostamenti di merci e popolazioni e Il mediterraneo più che dividere univa. Mediterraneo, mare di isole e di città che si affacciano sul suo bacino e alle quali siamo legati da un filo di familiarità. “Dialogo Mediterraneo” è un’opera palesemente dedicato al mare, con l’occhio rivolto al futuro ho voluto.