Il “primato della coscienza” tra individualismo e relativismo etico/3

Il “primato della coscienza” tra individualismo e relativismo etico/3

ETICA

Nel concludere il nostro viaggio intorno alla coscienza, ci soffermiamo sul “primato della coscienza”, che richiama intrinsecamente due aspetti collaterali ed interconnessi, vale a dire la libertà di coscienza e l’obiezione di coscienza. La coscienza morale del cristiano si trova spesso di fronte a situazioni in cui a “leggi scritte”, che andrebbero osservate, si contrappongono leggi “non scritte” ed eterne che risiedono nella coscienza stessa e che nessun potere può obbligare ad ignorare.

Paradigmatica, a riguardo, risulta già nel mondo greco la tragedia di Sofocle, l’ “Antigone”, che prende il nome della figlia di Edipo e di Giocasta e che fu rappresentata ad Atene intorno al 442 a.C..
Secondo la tragedia sofoclea, Antigone vive una situazione in cui fa prevalere il primato della coscienza rispetto alle “leggi scritte”. Ella, dopo aver cercato di riappacificare i fratelli Eteocle e Polinice, e dopo aver assistito al loro duello che vide la morte di Polinice, si adoperò per rendere gli onori funebri a Polinice, contro gli ordini del re Creonte.
Non tenendo conto dell’ordinanza del re e nemmeno dei consigli di prudenza della sorella Ismene che la invitava a rispettare la legge, Antigone, obbedendo alla suprema voce del suo cuore e facendo prevalere il primato della sua coscienza, rende gli onori funebri al fratello. Arrestata e condotta alla presenza del re Creonte, si vantò della sua scelta e della sua condotta, opponendo le “leggi non scritte e inviolabili” della sua coscienza alla ragion di Stato e alla legge politica. Il tiranno, nonostante le ferme obiezioni di suo figlio Emone, fidanzato di Antigone, e le minacce dell’indovino Tiresia, condannò la fanciulla a essere sepolta viva. Quando però Creante si ricredette e prese atto del suo errore, era troppo tardi: Antigone si era impiccata.
Questa tragedia rispecchia quanto spesso accade nel nostro tempo, dove tante leggi scritte ed emanate dal legislatore sono in contrasto con il sentire cristiano della fede del popolo di Dio. Ecco perché una “ri-comprensione” della coscienza esige che si dia spazio e voce a quella che comunemente chiamiamo “primato di coscienza”, il quale è il rifiuto di adeguarsi ad un ordine particolare imposto da una autorità o a una prescrizione di legge perché ritenuti contrari alle idealità e alle convinzioni morali della propria coscienza.
E a questo punto vogliamo richiamare la famosa intervista di Eugenio Scalfari, fondatore di Repubblica, a papa Francesco. L’intervista ha avuto, tra le altre cose, proprio al centro del dialogo il tema del primato della coscienza: “Ciascuno – ha affermato il Pontefice – ha la sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e di combattere il Male, come lui li concepisce”.
Sul piano teologico-morale questa affermazione ha aperto un ampio dibattito dentro e fuori la Chiesa.
Non c’è dubbio, infatti, che le parole del Papa hanno sollevato una discussione che ha fatto emergere in modo chiaro e trasparente due visioni diverse: quella di retaggio conciliare tridentino, che basa tutto sul principio di autorità del papato che custodisce e interpreta la scrittura in modo non discutibile da altri  e che da queste interpretazioni deduce una montagna di dogmi che regolano tutto, ed una seconda visione radicata, invece, nel Vaticano II, che mette al centro il principio del primato, della priorità e dell’autonomia della coscienza personale nell’agire morale, anche rispetto alle indicazioni del Magistero.
Le parole del Papa non hanno, certamente, voluto significare l’accettazione dell’individualismo che si manifesta nel mondo moderno, e meno ancora accettare un relativismo morale puro e semplice. Hanno voluto proclamare il primato della coscienza individuale, che non disconosce affatto l’esistenza per tutti noi di un patrimonio morale largamente comune, cioè un messaggio etico universale, immanente alla natura delle cose, che gli uomini sono in grado di decifrare.
Al di là, comunque, delle interpretazioni delle parole di papa Francesco, è indubbio che la post-modernità è davvero caratterizzata da una relativismo etico che riduce spesso la coscienza ad un sentire arbitrario, come se si trattasse di seguire – direbbe il cardinale beato Newman – la propria «preferenza personale» a prescindere da ogni autorità esterna. Certamente il senso delle parole di papa Francesco, lette nel contesto di tutto il suo insegnamento, non va nella direzione dell’arbitrarietà, ma vuole lasciar intendere che quando l’esistenza dell’uomo si concepisce a partire dalla coscienza, ossia in una prospettiva di relazione tra Dio e l’anima; quando l’uomo si mette davanti al “sacrario della coscienza”, dove riscopre una legge che non è stato lui a darsi e dove Dio parla e lui ascolta, allora risulta palese che il primato della coscienza non rappresenta un cedimento all’individualismo né un abbandono nelle mani dell’arbitrarietà e del relativismo. Anzi si tratta proprio del contrario.
Certo, è innegabile che tutto questo non è semplice e non accade concretamente, non se ne vedono gli effetti, tuttavia è compito dell’educazione cristiana far comprendere che il primato e la libertà di coscienza – così ci insegnava Newman – non si identificano affatto col diritto di “dispensarsi dalla coscienza, di ignorare il Legislatore e il Giudice, e di essere indipendenti da doveri invisibili”.
La coscienza retta ed onesta, nel suo significato autentico di dialogo dell’anima con Dio, non disconosce il vero fondamento dell’autorità del Papa e dell’insegnamento del Magistero. Una coscienza autonoma non è per nulla in contrasto con una coscienza teonoma, perché la legge morale che Dio suggerisce alla coscienza della persona non è qualcosa di esterno ad essa, ma qualcosa che la riguarda intimamente e che è in continua formazione anche con l’aiuto del cosiddetto “direttore spirituale”, che non è un dispensatore di ricette e soluzioni prefabbricate, ma una persona con una sapienza spirituale capace di guidare sulla via della verità e santità.
Per concludere, la “ri-comprensione” della coscienza esige una chiara attenzione al concetto del suo “primato”, atteso che se si mettesse al centro della vita morale solo la legge, si correrebbe il rischio del legalismo, dell’esteriorismo e del fariseismo; se si mettesse solo la persona, si correrebbe il rischio del soggettivismo e dell’interiorismo e del relativismo. Ma se al centro dell’agire morale quotidiano si mette il primato della coscienza intesa come costante, attento, docile ascolto della Voce di Dio che parla all’uomo invitandolo a vivere la vita come risposta alla nostra vocazione, allora non si corre alcun rischio e, anche se si sbaglia, è sempre possibile ritornare a lui e chiedere il dono della sua misericordia.