Educazione civica.
La cittadinanza europea: i presupposti/11

Educazione civica.
La cittadinanza europea: i presupposti/11

L ’educazione civica, al di là della sua struttura e di chi la insegna, ha lo scopo precipuo di formare i futuri cittadini. Un tempo si puntava l’attenzione sulla cittadinanza nazionale, ma, essendo ormai oltremodo anacronistico restare ai margini del locale, è più valido ed attuale allargare i propri orizzonti su un piano ampiamente più globale.
Ma, per evitare scivolosi pressapochismi, è assolutamente molto più rilevante, da un punto di vista didattico, verificare l’inderogabile valenza europea della cittadinanza, soprattutto a partire dal Trattato di Maastricht che l’ha introdotta.
Prima di tutto, in chiave propedeutica, sarà bene far conoscere ai nostri studenti il significato di cittadinanza, come “munus” valoriale della struttura sociale e culturale di un popolo.
Il concetto di cittadinanza, infatti, nacque e si determinò nella polis greca (la città-stato), all’interno di quel modello politico che caratterizzava tutti comportamenti e le relazioni tra gli abitanti della città, da cui deriva il termine “cittadini”. Ciò determinava e costituiva quel vincolo di appartenenza (ad uno stato o anche ad un comune), imprescindibile per il godimento dei diritti ed il rispetto dei doveri ed era legato alla nascita da genitori entrambi liberi ed essi stessi cittadini.
Secondo quanto viene descritto nel portale del Ministero degli Interni, “Il termine cittadinanza indica il rapporto tra un individuo e lo Stato, ed è in particolare uno status, denominato civitatis, al quale l’ordinamento giuridico ricollega la pienezza dei diritti civili e politici. In Italia il moderno concetto di cittadinanza nasce al momento della costituzione dello Stato unitario ed è attualmente disciplinata dalla legge 5 febbraio 1992, n. 91. La cittadinanza italiana si acquista iure sanguinis, cioè se si nasce o si è adottati da cittadini italiani” (https://www.interno.gov.it/it/temi/cittadinanza-e-altri-diritti-civili/cittadinanza).
Tale definizione non si scosta molto dalla sua origine greca, anche se oggi dobbiamo poter considerare, per una definizione chiara di cittadinanza europea, anche gli aspetti culturali e sociali del continente europeo.
Infatti, se allarghiamo al contesto dei paesi che fanno parte dell’UE (e non solo), il concetto di cittadinanza acquisisce un nuovo, ampio e più solido significato, che dal 7 febbraio 1992 (anno della firma del Trattato di Maastricht – TUE) viene ben definito nell’articolo 8 del TUE: “È istituita una cittadinanza dell’Unione. È cittadino dell’Unione Europea chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro”. Pertanto la cittadinanza europea non deve essere considerata come usurpatrice di quella nazionale, ma, al contrario, come complementare a questa, tanto da integrarsi vicendevolmente tra loro, arricchendosi e fortificandosi entrambe.
In più, tale cittadinanza è foriera di pace e di benessere, così come aveva affermato, nella sua Dichiarazione del 9 maggio 1950, Robert Schuman: “l’Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra”, sottolineando che la divisione dei popoli europei è stata quasi innaturale, perché imposta dalla ingordigia e dagli imperialismi dei sovrani, e pertanto l’unica via per il raggiungimento di una pace stabile e duratura, almeno in Europa, sarebbe stata, e di fatto lo è, l’unificazione dei popoli in una sola cittadinanza.
Pertanto la cittadinanza europea non è da considerarsi come appiattimento della propria cultura locale e nazionale e, di conseguenza, come uno svilimento di questa, per indirizzarsi, esaltandole, su tradizioni altre rispetto alla propria, ma si tratta di partire dalla storia e dalle radici culturali e sociali alle quali si appartiene, per conoscerle meglio e valorizzarle, integrandole con le altre culture. Da questa considerazione nasce il motto dell’UE “unità nella diversità”, contemplando la diversità non come elemento estraneo e nemico, ma, al contrario, come condizione di ricchezza, di unità e di confronto per la costruzione di una società più equa e rispettosa.
Infatti, così come in una grande orchestra, gli strumenti musicali, diversissimi tra loro, riescono a creare un’armonia unica e sublime, così si può determinare un’unione di pace, di solidarietà e di benessere, nella diversità, di lingue, culture e tradizioni.
In questa logica si muove l’enciclica di Papa Francesco “Fratelli Tutti”, quando al paragrafo 143 afferma che “la soluzione non è un’apertura che rinuncia al proprio tesoro. Come non c’è dialogo con l’altro senza identità personale, così non c’è apertura tra popoli se non a partire dall’amore alla terra, al popolo, ai propri tratti culturali. Non m’incontro con l’altro se non possiedo un substrato nel quale sto saldo e radicato, perché su quella base posso accogliere il dono dell’altro e offrirgli qualcosa di autentico”.
È solo e indiscussamente dalle proprie radici che può avvenire lo scambio e l’intima integrazione tra i popoli, nello spirito dell’unità e del rispetto dell’altro.
Pertanto, il primo elemento che deve essere assolutamente rispettato deve essere quello della propria appartenenza. Partendo da ciò, infatti, si può avviare il processo di integrazione, cercando di mettere dietro le proprie spalle ogni campanilismo e nazionalismo ed avviare un’unità autentica e proficua.