Educare istruendo le nuove generazioni: questa la sfida!

Educare istruendo le nuove generazioni: questa la sfida!

C’è una domanda fondamentale che la scuola di oggi è chiamata a porsi, ed è la seguente: chi educhiamo. Non c’è alcun dubbio, infatti, che il compito della scuola è quello di educare “la persona”: un essere unico e irrepetibile. Tutti i fenomeni che attraversano quotidianamente la scuola, dal bullismo al cyberbullismo, dagli atti vandalici alla violenza, dal mancato rispetto delle regole ai comportamenti da mafiosetti, ci fanno comprendere che il sapere , le conoscenze, le abilità e le competenze che la scuola cerca di fare acquisire agli studenti hanno bisogno di camminare sul “binario di una azione educativa” capace di educare istruendo, così da poter avere riflessi positivi nella vita stessa degli studenti e nella società. 

Nell’attività di insegnamento, infatti, si sta rischiando, a causa dell’aziendalizzazione della scuola, di trasformare lo studente in un “cliente”, ( ecco la caccia ad averne di più per evitare problemi di organico) quando invece non può assolutamente perdersi vista il fatto che lo studente è “una persona” proiettata ad essere protagonista di se stesso; pertanto, occorre – direbbe Rogers – una pedagogia non direttiva, in base alla quale non deve essere il docente a cambiare l’alunno, ma è l’alunno che deve cambiare e si deve formare mentre apprende.

Nella scuola di oggi appare dunque importante rivedere radicalmente il ruolo e la funzione dell’insegnante, il quale non soltanto è chiamato a mutare la propria concezione della didattica, ma anche a rivedere la propria capacità di relazionarsi; il suo compito, direbbe sempre Rogers, è quello di evitare un “apprendimento insignificante” e imposto dall’esterno e di provocare, invece, un “apprendimento significativo” che coinvolge l’esperienza degli studenti e che nasce dai processi vitali profondi della persona. Questa centralità della persona trova anche la sua radice in Maritain , sostenitore di un umanesimo integrale capace di superare ogni riduzionismo e di accogliere tutte le espressioni dell’uomo, tutti i suoi valori, tutta la sua personalità. Il fine di ogni attività di insegnamento non è pertanto il sapere fine a se stesso, quanto l’educazione della persona, alla quale educazione contribuiscono la conoscenza e il sapere. 

Se “chi educhiamo” è una persona, occorre ritornare a riflettere sulla visione che il docente della scuola di oggi ha dell’apprendimento degli allievi. L’apprendimento, in un quadro di personalismo pedagogico, dovrebbe diventare un processo che produce nello studente un cambiamento nel modo di pensare, agire e operare relativamente stabile, in quanto coinvolge sia l’ambito ideazionale (si apprendono concetti, idee, strutture, valori), sia il campo affettivo(si apprendono atteggiamenti, comportamenti, gusti, si formano vizi, inclinazioni, pregiudizi, ), sia l’ambito motorio, poiché si apprendono abilità, gesti, espressioni e tratti esteriori. 

La scuola può raggiungere il suo obiettivo di educare istruendo solo quando si dimostra capace di determinare negli studenti il passaggio da un “apprendimento meccanico” e quasi “subìto” perché obbligatorio ma poi lasciato ai margini e all’oblio dopo poche settimane, ad un “apprendimento concettuale ed esperienziale” caratterizzato dalla capacità dello studente: a) di comprendere il significato di un fatto del passato nell’oggi del tempo che vive; b) il modo di dare soluzione ad un problema, di fare sintesi e di saper fare una operazione di induzione e deduzione.

In altre parole, la scuola dovrebbe tendere verso un “apprendimento significativo”, che avviene quando l’allievo comprende e collega i contenuti che acquisisce con quelli in suo possesso, operando una riorganizzazione cognitiva autonoma e in grado di avvertirne la pertinenza, la validità, il valore e la proiezione sul suo itinerario formativo di uomo e di cittadino.

Educare istruendo esige allora “ri-pensare” la propria attività di insegnamento con la consapevolezza che nell’apprendimento intervengono spesso delle variabili che possono determinare il successo o il fallimento. Esistono infatti variabili intrapsichiche quali la struttura cognitiva dell’allievo, le sue attitudini evolutive, le capacità intellettive, i fattori motivazionali ed emotivi e quelli relativi alla struttura della sua personalità; vi sono però anche variabili situazionali che possono determinare il successo o meno dello studente, quali il metodo utilizzato, la strutturazione del materiale didattico, le dinamiche del gruppo-classe e, in particolare, le caratteristiche del docente a livello di competenze professionali, abilità pedagogiche e atteggiamenti relazionali.