“A scuola di parità”. Il ruolo della scuola nella lotta contro la violenza e la disparità di genere/2

“A scuola di parità”. Il ruolo della scuola nella lotta contro la violenza e la disparità di genere/2

Occorre urgentemente adoperarsi per estirpare le radici culturali che rendono la violenza contro le donne socialmente accettabile e la tengono sommersa” ha dichiarato poco tempo fa Maria Cecilia Guerra, sottosegretaria del ministero dell’Economia, ma da dove iniziare? Comincerei da prendere in esame tutti quei messaggi subliminali che arrivano alla nostra coscienza ogni giorno e che tratteniamo e diffondiamo a nostra volta senza consapevolezza. Mi riferisco naturalmente a tutti gli input passati da televisione, giornali e mondo online, ma vorrei porre l’attenzione anche su tutte quelle scene di vita quotidiana che ci circondano e che viviamo con gioia e naturale abitudine.

Nella foto affianco vediamo una tipica scena natalizia, osservandola, possiamo forse pensare che si tratti di un qualcosa contro la parità di genere? Se ci concentriamo sui sorrisi e la magia del Natale, la risposta sarà di certo negativa, ma se poniamo attenzione al “nonno” e la “nonna” della situazione, sarà facile notare come l’uomo venga servito, mentre la donna è colei che serve. Qual è il motivo per cui una scena del genere risulta così naturale?

Qualcuno potrebbe rispondere “è sempre stato così”, altri potrebbero dire persino “è giusto così”, mentre una fetta sempre maggiore di persone potrebbe agitarsi ritenendo scorretto il perpetuarsi di questa situazione. Perché pur sapendo che questa è una visione “superata” della famiglia, nella stragrande maggioranza di casi viene protratto questo schema? Per rispondere a questa domanda ci viene in aiuto il concetto di stereotipo di genere ossia un bias cognitivo che può essere inteso come una scorciatoia per riuscire ad analizzare la realtà basandosi su dati acquisiti a priori, senza critica o giudizio, utilizzati spesso per prendere decisioni in fretta o senza fatica. Il nostro cervello funziona secondo il più alto livello di economia cognitiva, è naturale quindi non porsi domande davanti a determinate situazioni che vengono così riproposte di momento in momento, ma una domanda dovremmo forse porla: è il cervello che crea le scene o sono le diverse situazioni che plasmano il cervello?

Se caliamo questa domanda all’interno del contesto istruttivo potremmo chiederci se i libri siano presi dalla realtà o se i libri contribuiscano a creare quella determinata realtà? Ovviamente la risposta è bidirezionale, ma per far comprendere il peso dell’influenza dei manuali fin dal mondo dell’infanzia voglio citare un progetto svolto nel 2006 a Torino dal titolo “Quante donne puoi diventare”. In tale progetto venne eseguita un’analisi su 516 libri per l’infanzia ed osservando le scene proposte i risultati misero in evidenza che la figura del padre è rappresentato mentre svolge un lavoro domestico nel 3% dei casi (19 su 516 album illustrati), la collaborazione di entrambi i genitori ad un’attività casalinga appare nel 2% (10 albi su 516), mentre nella figura della madre non manca mai la presenza del grembiule.

Ora, se osserviamo la seconda immagine qui proposta e presa proprio da un albo illustrato per bambini, non sarà difficile notare la forte somiglianza con l’immagine precedente. Casualità o costruzione sociale di pensiero?

La cultura scolastica trasmette un sapere teoricamente neutro, ma in realtà è fortemente connotato al maschile sia nei contenuti che nelle modalità di trasmissione. La marginalizzazione e la sottovalutazione dei contenuti delle donne attuata nei libri e nei percorsi scolastici non riguarda solo l’ambito scientifico, ma si estende a tutte le discipline.

Se infatti chiedessimo ad un giovane chi è Einstein probabilmente ci risponderebbe con la sua famosa linguaccia, ma se provassimo a chiedere per cos’è famosa Marie Curie, la risposta non sarebbe altrettanto certa. La stessa cosa avviene nel mondo dell’arte, dello sport e della letteratura: chi è Van Gogh? E Frida Kahlo? Chi Maradona e chi Nadia Comăneci? Chi Ungaretti e chi Alda Merini? Spiritoso che per citare un uomo basti il cognome, mentre per rendere più riconoscibile una donna serva anche il suo nome.

Sono queste semplici osservazioni che potrebbero aiutare a smantellare il vecchio pensiero all’interno del vivere quotidiano. Bambini e ragazzi non hanno bisogno di “discorsoni” sulla parità di genere, non hanno bisogno nemmeno di celebrare in un determinato giorno le donne o la lotta contro la violenza sulle stesse. I giovani hanno bisogno di percepire che uomini e donne mandano avanti il mondo in una parità dichiarata, ma soprattutto vissuta.

Un esperimento nei laboratori scolastici tratto da una scienziata, un’analisi del testo basata sull’opera di una poetessa, la canzone per la recita scolastica scelta da una musicista donna…sono questi i veri semi che possono far germogliare nuove idee, nuove percezioni e nuove abitudini orientate ad estirpare ogni rimasuglio di differenza di genere.

Non sarà un lavoro semplice e neppure veloce se consideriamo che ci vorranno altri 139 anni per appianare il gender gap (Studio ISPI, Global Gender Gap Report, World Economic Forum), ma la costanza di ogni giorno andrà a rimpolpare nuove radici che con la loro forza estirperanno i vecchi concetti proprio come ad ogni primavera le nuove piante sollevano, muovono e riescono a rendere nuovamente fertili terreni rigidi, freddi ed oramai non più praticabili.Raccontiamo loro di cosa parlano i libri che ci piacerebbe che leggessero e creiamo spazi in cui gli alunni stessi possano parlare dei libri che hanno letto e apprezzato. Diversamente sarà solo un compito noioso da eseguire in fretta, meglio ancora se con l’aiuto del web dal quale trarre sintesi e recensioni senza neppure aver provato a leggere la storia assegnata.