L’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE CATTOLICA. La cenerentola della scuola italiana

L’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE CATTOLICA. La cenerentola della scuola italiana

C’era una volta, tanto tempo fa, una vecchia Scuola che aveva tante materie. Un giorno Essa fece con la Signora Chiesa un’intesa in cui fu “concordato” di adottare un nuovo insegnamento che chiamarono Religione Cattolica. I parenti e gli amici della Scuola, invidiosi, superbi ed ignoranti, presero questa nuova disciplina immediatamente in antipatia, dicendo di lei falsità e menzogne, perpetrando su di essa le peggiori ingiustizie e discriminazioni”.
Potrebbe iniziare così la storia dell’Insegnamento della Religione Cattolica (IRC), come una parodia della favola resa famosa dalle versioni di Charles Perrault e dei fratelli Grimm.
C’era una volta l’IRC, infatti la storia di questa disciplina nella scuola italiana, la si può far risalire a partire dai tempi dello Statuto albertino (4 marzo 1848), anche se in seguito fu trasposta nel Regno d’Italia per mezzo della nuova Costituzione, che all’articolo 1 (che nel passaggio non subì alcuna modifica) così recitava: “La Religione Cattolica, Apostolica Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alla legge”. Successivamente la legge Bon Compagni (4 ottobre 1848), di Carlo Bon Compagni di Mombello, sosteneva una posizione liberale molto chiara: “Voglio la libertà per la Chiesa, come la voglio per tutte le altre comunioni dissidenti; voglio la libertà del cattolico come quella dell’incredulo; voglio la libertà per la Chiesa come la voglio per lo Stato, come la voglio pel comune, come la voglio per la scuola, come la voglio per l’industria, come la voglio per tutto ciò che rappresenta un grande interesse ed un grande principio”. Dopo seguirono la Legge Lanza del 1857 ed infine la legge Casati, dal nome del Ministro della Pubblica Istruzione Gabrio Francesco Casati, entrata quest’ultima in vigore nel 1861 ed estesa, con l’unificazione, a tutta l’Italia (regio decreto 28 novembre 1861, n. 347). Questa può essere considerata la prima legge a carattere nazionale della scuola pubblica italiana, che rese obbligatorio l’insegnamento della religione cattolica in tutte le scuole elementari, nei licei-ginnasi e nei livelli dell’istruzione tecnica, lasciando però ai genitori degli alunni il diritto di richiedere l’esonero.
In seguito, con l’avvento del fascismo, attraverso i “Patti Lateranensi” firmati da Mussolini e dal card. Pietro Gasparri l’11 febbraio 1929, si ebbe un maggiore consolidamento dell’IRC.
Nel testo concordatario l’art. 36 è l’elemento portante della posizione politica circa l’IRC, nel quale si legge che “l’Italia considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica”.
L’IRC da quel momento divenne una disciplina ordinaria nella scuola per tutti gli studenti, con l’obbligo di frequenza e possibilità di esonero, però non prevedeva voti ed esami, ma solo una nota da annettere alla pagella.
Fin qui siamo in un contesto storico che faceva dell’IRC un insegnamento confessionale, legato a stretto mandato con la Chiesa cattolica, i cui insegnanti erano, per lo più, sacerdoti, religiosi, catechisti e le tanto amate perpetue parrocchiali.
Comunque bisogna evidenziare, per onore di verità, che, come è sottolineato dalla enciclopedia on line Treccani, “in Europa come negli Stati Uniti d’America, tutti (o quasi) i sistemi scolastici hanno una comune eredità di origine religiosa. La relazione ‘religioni-scuola’ è pertanto un dato primario che deve essere considerato come problema storico, nella sua evoluzione. In Occidente le scuole sono una filiazione delle Chiese. Si tratta di un dato inconfutabile che porta con sé anche un’inevitabile conflittualità, almeno sin dal momento in cui la scuola comincia a rivendicare la propria autonomia dall’istituzione ecclesiastica.” (https://www.treccani.it/enciclopedia/l-insegnamento-della-religione_%28Cristiani-d%27Italia%29/).
Quindi si potrebbe affermare che la scuola, specie quella italiana, luogo di educazione, insegnamento e crescita dei futuri cittadini, era sempre stata, in passato, un’istituzione di natura e di struttura ecclesiale, solo più tardi, in epoca moderna, la gestione della scuola diverrà un’esigenza di cui lo Stato ne avvertì il peso ed il dovere pubblico e governativo di gestirla in prima persona. Ciò è anche legato alla evoluzione storica, culturale e sociale, in cui l’influsso dell’illuminismo, delle rivoluzioni industriali e del modernismo incisero enormemente sulla politica e sulla mentalità dei popoli.
Alla fine della seconda guerra mondiale gli italiani, con il referendum del 2 giugno 1946, scelsero la Repubblica (rispetto alla monarchia) come forma istituzionale dello Stato, inserendo, a partire dal 1948, all’art. 7 della nuova Costituzione repubblicana, i Patti Lateranensi del 1929, ratificando, in questo modo, la continuità dell’IRC nella scuola statale.
Nel 1984 venne firmata la revisione del Concordato del ’29, che, all’articolo 9.2, così recita: “La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado”.
In questo modo si è assistito alla trasformazione dell’IRC, che è divenuta (da insegnamento catechistico/confessionale) una disciplina che, come tutte le altre all’interno della scuola, è riconosciuta nel quadro delle finalità e dei curricula istituzionali del sistema educativo italiano. In tal modo si può ben intravedere, in questa nuova impostazione dell’IRC, una strutturazione scientifica e didattica pari a quella delle altre discipline, in quanto essa è caratterizzata da uno statuto epistemologico che la rende uno studio sommamente culturale, con tutte quelle sfumature (storiche, antropologiche, sociologiche, letterarie, artistiche e filosofiche) proprie di un normale insegnamento umanistico, divenendo, altresì, interdisciplinare e trasversale alle altre materie (anche scientifiche) impartite nella scuola pubblica. Ciò le garantisce di essere un insegnamento laico, in una scuola laica, aperta a tutti gli studenti, al di là delle proprie appartenenze religiose ed ideologiche. L’IRC, che oggi viene insegnato nella scuola italiana, non impartisce più la dottrina cattolica, ma fa riemergere, dallo studio della civiltà e della storia della nostra nazione, quegli elementi di religiosità e di cristianità che marcatamente hanno contraddistinto il mondo occidentale e la nostra storia nazionale.
Con questa nuova IRC si tratta di estrapolare, dall’universo culturale italiano ed europeo, i principi del cattolicesimo che fanno parte sia del patrimonio storico, che di quello artistico e culturale. Potremmo affermare che con l’IRC si cerca di far emergere quelle connotazioni proprie del cristianesimo che sono insite nel nostro sapere nazionale a tutti i livelli (letterario, artistico, filosofico, della tradizione popolare, del Diritto, ecc.), per aiutare i futuri cittadini a comprendere la sintassi storica e culturale della loro identità italiana ed europea.
Conseguentemente, in questo nuovo panorama, gli stessi insegnanti dell’IRC, pur se proposti dall’ordinario diocesano, a partire dal concordato del 1984, rivisto nel 2012 (per l’impianto dei nuovi titoli accademici adattati alle odierne normative europee), devono possedere titoli e preparazione adeguate all’insegnamento di una materia scolastica e non più confessionale, con l’acquisizione di titoli accademici, dottorati, master e formazione permanente, come quella degli altri insegnanti.
Alla luce di quanto sinteticamente esposto, risulta senza alcun senso, costrutto e logicità, quanto dichiarato nelle ultime settimane da alcuni senatori e politici di varia specie, che definiscono l’IRC, insistentemente ed in modo insolente, una materia confessionale e non laica, tanto da aver proposto per l’ennesima volta, una mozione per abolirla e sostituirla con altra disciplina. Ma, con tutto ciò, non si comprende nemmeno il perché la politica (tutta) usi due pesi e due misure, all’interno della scuola, per una disciplina che ha pari dignità, come tutte le altre, e per i docenti che la insegnano, che operano dentro la scuola allo stesso modo dei loro colleghi, ricoprendo gli stessi incarichi (collaboratori del DS, referenti di plesso, componenti dei comitati di valutazione, RSU, funzioni strumentali, animatori digitali, coordinatori dell’educazione civica, referenti di progetti o aree disciplinari, ecc.).
Infatti al momento della loro assunzione, mentre per i docenti precari delle altre discipline (che insegnano con contratto a tempo determinato da più di 36 mesi) a livello normativo si attivano procedure di assunzione straordinarie e non selettive, per i soli precari IRC, forse solo perché insegnano religione cattolica, si usano procedure discriminanti ed ingiuste, come quello di un concorso ordinario (sancito dalla legge 159/2019, art. 1bis), che potrebbe creare, tra i precari storici dell’IRC, la possibilità, non remota, di perdere il posto di lavoro.
Ecco che diventa significativo quanto portato avanti dallo SNADIR, da solo, senza la partecipazione degli altri sindacati, che dal mese di giugno, tutti i venerdì del mese, ha attivato un presidio pacifico ma significatamente visibile, per evidenziare l’ingiustizia politica nei confronti dei precari dell’IRC. Questa azione si è conclusa il 24 giugno con una manifestazione, prima al MIUR e poi proseguita, nella stessa mattinata, al teatro Quirino, con l’intervento di alcuni politici ed esponenti del governo e con la partecipazione di ben più di 200 IdR provenienti da tutte le regioni d’Italia.
Ma la battaglia, dato il persistente silenzio del ministro dell’Istruzione e dell’intera politica, continua anche durante il mese di luglio con sit-in settimanali, che vedono protagonisti gli stessi precari di IRC accompagnati dalle proprie famiglie (figli, coniugi, fratelli e parenti conviventi), a testimoniare la concretezza dei bisogni degli IdR precari e le pari condizioni familiari e sociali, di una categoria di lavoratori non per nulla diversa dai precari delle altre discipline, continuamente vituperata e discriminata, così come affermato, con una nota ufficiale, dal Procuratore generale della CEDU (Corte Europea dei Diritti Umani), che ha evidenziato in modo chiaro “la situazione discriminatoria in cui versano i docenti precari che insegnano religione” e ne ha denunciato il fatto che “non sussistono ‘ragioni obiettive’ che possano giustificarla”.
Pertanto, speriamo che un giorno la giovane Cenerentola IRC trovi quel Principe azzurro che la “incanti” per sempre, con una legge straordinaria.
E solo così potranno vivere tutti felici e contenti.