I docenti di religione: il “popolo bistrattato” della scuola italiana

I docenti di religione: il “popolo bistrattato” della scuola italiana

Precisare la dimensione umana e sociale degli IdR, nella loro qualità di lavoratori, potrebbe apparire pleonastico, ma alla luce di interventi incresciosi, che nelle ultime settimane hanno visto protagonisti personaggi discutibili, impreparati ed incompetenti (sull’argomento), appartenenti a certa sinistra antisociale (potrebbe sembrare un ossimoro), che hanno sbraitato contro l’IRC e gli stessi docenti che la insegnano, testimonia che non è assolutamente assodato che gli IdR siano considerati dei veri e propri lavoratori del mondo della scuola. Forse in pochi si rendono conto, tra i componenti dell’opinione pubblica, della politica, oltre a certi opinionisti ed uomini di cultura, che colui che insegna “religione cattolica” nella scuola italiana, pubblica e statale, è un docente dello stesso rango professionale degli altri suoi colleghi che insegnano discipline diverse, in quanto possiede gli stessi doveri, oltre che gli stessi diritti, svolge i medesimi compiti professionali, come gli altri, partecipa alle stesse iniziative ed attività didattiche ed educative ed a tutte le riunioni degli organi collegiali, contribuendo, con gli altri e come gli altri insegnanti, a favorire lo sviluppo e la crescita dei futuri cittadini italiani ed europei.
Gli IdR, di fatto, appartengono a quella parte del mondo del lavoro bistrattato, forse anche per la loro contiguità con la Chiesa cattolica (dato che il concordato tra lo Stato italiano e la Chiesa Cattolica prevede che vengano proposti alle scuole dagli ordinari diocesani), tant’è che spesso vengono più considerati come appartenenti alla cerchia dei frequentatori di sacristie, piuttosto che come operatori di catechismo e non per quello che in realtà sono: dei veri e propri professionisti. Infatti, dal 1991, tutti i docenti di religione sono titolati (laure magistrali, licenze, dottorati, magisteri, master), per compiere il loro ruolo nella scuola italiana in modo specialistico, serio e competente.
Ma oltre a questo aspetto professionale, che li rende uguali agli altri insegnati, a molti sfugge un altro aspetto, che è quello umano e sociale. Infatti gli IdR, sono uomini e donne come gli altri, con bisogni sociali, familiari ed economici, non solo come tutti i loro colleghi, ma come tutti i lavoratori di ogni altro comparto della società.
Forse per quella contiguità ecclesiale, non vengono presi in considerazione, così come avviene per gli altri lavoratori, come individui che hanno diritti (oltre che doveri), esigenze familiari, personali e anche di salute.
Infatti, alcuni sono sposati con famiglia e figli da crescere, hanno i genitori anziani da assistere e le necessità di avere una loro casa, ma anche possono avere bisogni di salute. Chi è in stato di precarietà lavorativa, come quei diciassette mila (circa) IdR che lavorano anche da più di venti anni con un “contratto a tempo determinato”, rinnovabile di anno in anno (dal 1° settembre al 31 agosto), rischia, se seriamente ammalato, di perdere il proprio posto di lavoro. Chi, tra questi precari, volesse assicurare un tetto alla propria famiglia ed accedere a un mutuo, non può farlo. Chi volesse acquistare un’auto, per un lavoratore non più un bene di lusso, non può riceverlo.
Eppure sono lavoratori e persone come tutti, ma la politica non li considera tali, discriminandoli. Infatti, per gli altri docenti precari, di altre discipline, è previsto un concorso periodico, mentre per gli IdR, se ne è fatto, in tutta la storia della scuola, uno solo nel 2003 (ma se ne prevedevano altri con cadenza triennale, mai banditi); per chi insegna materie diverse da religione, sono previsti canali speciali, concorsi straordinari, non selettivi, come quelli che si sono espletati in questi ultimi anni, prevedendone altri proprio nei prossimi mesi, mentre per gli IdR è atteso un concorso ordinario e selettivo, con il beneplacito della CEI, mettendo a rischio il loro futuro lavorativo e, con esso, quello delle loro famiglie.
Lo sanno bene tutti quei docenti precari, che per tutto il mese di luglio (un giorno a settimana, per quattro settimane), sotto gli occhi attenti dei dirigenti sindacali dello SNADIR, che hanno organizzato l’evento, hanno sfilato sui gradoni della scalinata di Viale Trastevere a Roma, davanti alle finestre dell’austero palazzo del Ministero dell’Istruzione, per gridare, con voce ferma e accorata, i loro vissuti di gente normale e di lavoratori della scuola, come tutti gli altri, che temono non solo per se stessi, ma per i loro figli, di restare disoccupati, se, come si paventa, il ministero dovesse pubblicare un bando di concorso ordinario, che matematicamente porterebbe tanti IdR precari, fuori dalla scuola.
Come Antonio da Perugia, padre di due bimbe (di 5 e 13 anni che ha portato con se), IdR da 10 anni, che ha il sogno, come esso stesso afferma: “di guardare negli occhi le mie figlie e smettere di sperare di stare sempre in salute perché il contratto a tempo determinato non mi tutela pienamente.
Io ho un sogno … quello di andare in banca per fare un mutuo o chiedere un prestito e smettere di sentirmi dire “no” oppure “per avere accesso al prestito devi trovare dei garanti”.

Io ho un sogno. che un giorno questa Nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso della sua Costituzione: perché io … noi qui presenti riteniamo ovvia questa verità: che tutti i docenti sono uguali, ma purtroppo non è così. … Per questo noi tutti abbiamo un sogno … vedere gli insegnanti di religione trattati come gli altri docenti, perché è compito esclusivo dello Stato decidere le modalità di assunzione degli IdR. … Basta discriminazioni! Basta
precariato storico, direi cronico e, non per colpa nostra, ma per colpa di una politica che non vuole offrire risposte. Non rubateci il futuro … non rubate il futuro dei nostri figli”.


Anche Michele, 43 da Ancona, che con due titoli (Baccalaureato e Licenza i Teologia) insegna religione da 15 anni, vive il dramma della precarietà sulla sua stessa pelle, come lui stesso dichiara: “Sono felice quando la mattina entro in classe e incontro i miei ragazzi, ma la mia gioia di stare con loro e di aiutarli a crescere è sempre guastata dall’incognita che mi grava addosso e che mi porta a chiedermi sempre: “… e il prossimo anno?? E i prossimi anni?? Che succederà?”. Nella scuola pubblica non mi sono mai tirato indietro dal coinvolgermi a pieno nella funzione docente. Ho accettato, durante il corso degli anni, di servire come coordinatore di classe, come tutor studenti in entrata, come aiuto di funzione strumentale, come aiuto ai vari fiduciari di plesso … e tutto questo da precario! Non me ne sono di certo stato al sicuro nel mio cantuccio ma ho cercato sempre di rimboccarmi le maniche perché la funzione educativa della scuola pubblica si rendesse efficace attraverso la mia materia e soprattutto attraverso la mia persona. Ho partecipato a continui corsi di aggiornamento e ho sempre curato la mia formazione in itinere. Ma evidentemente allo Stato questo sembra non bastare”!!


C’è pure Elena, 55 anni di Pescara, che lavorava in una catena famosa italiana, nel campo della ristorazione, che, come lei stessa evidenzia: “con due figli piccoli e un lavoro deprimente che non mi piaceva, ho deciso di cambiare, quindi sono tornata a studiare, Teologia, una mia grande passione, e a pensarci bene, forse avrei dovuto scegliere un’altra facoltà! Attenzione: questa affermazione dovrebbe farvi interrogare tutti! Io abito a Pescara, Abruzzo, ho studiato a Pescara, poi a Roma ho ottenuto titoli accademici … . Ho svolto e superato due prove selettive nel 2007: una nel Triveneto e l’altra a Roma, dove ho iniziato la mia carriera di PRECARIA nella scuola italiana nel dicembre 2007. Sono “giovane” di fronte a colleghe e colleghi con 25/30 anni di precariato. Caro Ministro nel 2012 mi sono ammalata per una grave patologia, ho dovuto effettuare cure chemioterapiche, nonostante tutto ho continuato ad essere pendolare, partivo da Pescara il lunedì mattina e rientravo il venerdì, è stato un anno difficile, faticoso non potevo più sostenere il ritmo di lavorare lontano dalla mia residenza! E visto che sono precaria, per tornare a Pescara non ho potuto chiedere il trasferimento, come fanno tutti gli insegnanti”!
Era presente a Roma, col figlio diciottenne, anche Simona di Terni, precaria da diciassette anni, che ha sottolineato con le sue parole: “nella mia famiglia di origine mi hanno insegnato a credere nello Stato. Soprattutto mio nonno, Angelo, che diceva sempre quanto fosse importante fare la propria parte per quella Repubblica che lui aveva visto nascere, che tutelava finalmente i propri cittadini dando le stesse opportunità a tutti. “Fai la tua parte”, diceva, “Metti i tuoi talenti al servizio del bene comune e le cose funzioneranno”. Se fosse qui oggi sarebbe molto confuso. Vedrebbe che ho fatto la mia parte: ho studiato, mi sono impegnata, ho lavorato con passione e ho aspettato con pazienza i concorsi promessi dalla L. 186 per gli insegnanti di religione. Ma vedrebbe anche che lo Stato si è dimenticato di una parte dei suoi cittadini, i concorsi previsti da una legge dello Stato non sono arrivati. Vedrebbe che, mentre tanti miei colleghi di altre discipline hanno ottenuto il ruolo, con la possibilità di costruirsi un futuro, una casa e la tranquillità, io rimanevo sospesa ad aspettare la mia opportunità. Ferma davanti ai no delle banche che negano mutui, ferma a pregare di avere la salute per mantenere la mia famiglia. E oggi, mentre sto ancora aspettando, lo stesso Stato, che non mi ha vista in passato e non mi vede ancora oggi, mi invita quasi ogni giorno a parlare ai miei studenti di educazione alla legalità, di inclusione quando sulla mia pelle vivo una grande discriminazione”.
Nella speranza che il Ministro e la politica tutta possano ascoltare queste parole, la vita prosegue per tutti, anche per i bistrattati della scuola.