ALUNNI NON AVVALENTESI DELL’IRC GESTITI DAI DOCENTI DI RELIGIONE: Una incongruenza in termini di legge e di didattica

ALUNNI NON AVVALENTESI DELL’IRC GESTITI DAI DOCENTI DI RELIGIONE: Una incongruenza in termini di legge e di didattica

In questo tempo di Covid 19, tra le molteplici problematiche che tantissime scuole stanno vivendo, ve n’è una che sta assumendo toni paradossali e grotteschi, quella del dovere o meno mantenere in classe i non avvalentesi dell’IRC, durante la stessa ora di lezione. 

Praticamente una scelta libera e democratica, come quello di non avvalersi dell’IRC, diviene per molti DS un obbligo anomalo e non rispettoso della libertà dei genitori e degli stessi alunni. Fare una scelta vuol dire poter decidere cosa fare o meno, al contrario alcune scuole obbligano ad infrangere la stessa scelta. Un atto contro la democrazia e la libertà personale, giustificata dall’incapacità di saper organizzare la vita della scuola. Sarebbe come andare al ristorante e scegliere un menù vegano e poi vedersi obbligati a dover mangiare della carne. Purtroppo però molti considerando banale e insignificante tale scelta del non avvalersi, davanti ai complessi problemi di governance della scuola (mancanza di aule e di docenti che insegnino l’alternativa), e l’affrontano superficialmente, trovando una banale scusa. Infatti oggi ci si trincera dietro l’ombra della pandemia, ma questa usanza, di far restare in classe durante l’ora di IRC i non avvalentesi, è prassi assai antica e consueta. 

La Legge 107/2015 (Legge su “La buona scuola”) pur non avendo apportato cambiamenti per quanto riguarda l’insegnamento della Religione Cattolica (IRC) e l’insegnamento della Materia Alternativa, tuttavia rimarca, con il comma 16, l’obbligo delle scuole di assicurare con il Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF) le pari opportunità e la prevenzione di tutte le forme di discriminazione, così come fu sottolineato dall’Accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apportava modificazioni al Concordato Lateranense dell’11 febbraio 1929 tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede (ratificato con la legge n. 121 del 1985): “All’atto dell’iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto (se o non avvalersi), su richiesta dell’autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione”.

A tutto ciò si aggiunge, poi, un’importante ordinanza del Tribunale di Padova che ha fatto storia, la n. 1176 del 30 luglio 2010, e con la quale si evidenziò che l’attivazione dei corsi alternativi alla Religione Cattolica costituiscono “un obbligo”, che se disatteso pone in essere “un comportamento discriminatorio illegittimo” fonte, questo, di responsabilità risarcitoria per l’Istituto Scolastico inadempiente.

Inoltre, pur essendo, la predisposizione delle attività didattiche e formative, di competenza del collegio dei docenti, il Ministero dell’Istruzione ha suggerito in passato alcune possibili attività e recentemente ha richiamato – sulla scia della Sentenza del Consiglio di Stato del 7 maggio scorso – la necessità di assicurare l’ora alternativa all’insegnamento della religione agli alunni interessati (C.M. n.59 del 23 luglio 2010).

Comunque la circolare del MIUR n. 51 del 18 dicembre 2014, ancor meglio specifica le opzioni possibili dell’ora alternativa, programmate ad inizio d’anno da parte degli organi collegiali:

attività didattiche e formative;

attività di studio e/o di ricerca individuali con assistenza di personale docente;

libera attività di studio e/o di ricerca individuale senza assistenza di personale docente (per studenti delle istituzioni scolastiche di istruzione secondaria di secondo grado);

non frequenza della scuola nelle ore di insegnamento della religione cattolica.

Ma proprio nel mese di ottobre 2020, quindi recentissimamente, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione III-bis, con la sentenza del 9 ottobre 2020, n. 10273 (Presidente: Sapone – Estensore: Goggiamani), rigetta la circolare del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca del 17 dicembre 2012, n. 96, prot. 8293, avente ad oggetto “Iscrizioni alle scuole dell’infanzia e alle scuole di ogni ordine e grado per l’anno scolastico 2013/2014”, nella parte in cui prevede che l’esercizio dell’opzione in ordine alla decisione di avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica avvenga all’atto dell’iscrizione, mentre la scelta specifica delle attività alternative sia operata da parte degli interessati all’inizio dell’anno scolastico. Pertanto, la scelta della “tipologia” di ora alternativa deve essere separata dal momento della scelta di avvalersi o non avvalersi dell’irc. La scelta delle attività alternative, quindi, così scrivono i giudici del Tar, “deve avvenire in tempi che garantiscano la tempestiva programmazione e l’avvio dell’attività didattiche secondo quanto richiesto dai principi di ragionevolezza e buon andamento”. Tutto ciò per evitare quello che in molte scuole si sta verificando, cioè che gli alunni non avvalentesi restino in classe durante la stessa ora di IRC, che loro stessi non hanno scelto.

Tutto ciò evidenzia chiaramente che l’alunno non avvalentesi non può e non deve restare in classe durate l’ora di IRC, in alcuna circostanza, anche sotto l’emergenza covid 19, non solo perché sarebbe discriminante per chi se ne avvale, oltre per chi non se ne avvale, ma si solleverebbero gravi problemi di responsabilità civile, amministrativa e penale, nella gestione degli alunni non avvalentesi da parte del docente di IRC, che per norma non deve averli con sé in classe.